martedì 9 dicembre 2008

Ricerca, didattica e valutazione dei docenti

Ho anche io delle considerazioni da fare, da vecchio, alla fine della carriera universitaria, quindi fuori da “necessità personali”.
I messaggi sono concentrati sulla valutazione della attività scientifica: l’impact factor è il parametro che discrimina i buoni dai cattivi e nella maggior parte dei casi è visto come unico criterio per valutare la “bravura” di un candidato.
Sono d’accordo che debba essere tenuto in considerazione, ma accanto a questo devono esserci altri criteri per la valutazione del “valore universitario” dell’individuo.
Infatti l’Università è la sede della didattica e della ricerca. Entrambe le cose, non una sola.
Conosco colleghi valenti Ricercatori, ma che non riescono a farsi comprendere nelle loro lezioni e al momento dell’esame promuovono tutti, senza criticità. Altri colleghi hanno grosse capacità di gestione e sono altrettanto validi nell’organizzazione e nel funzionamento degli organi Accademici ai vari livelli. Parte del loro tempo è dedicato alla gestione e, se fatta bene, per l’università e per gli studenti, se ne deve tenere conto come criterio di merito.
Vedo il rischio che la rincorsa alle pubblicazioni indicizzate allontani i ricercatori dal fare lezione, per dedicarsi esclusivamente alla loro carriera futura. I professori che fanno lezione a 100-200 studenti, con i relativi esami cercheranno, come già avviene, di insegnare con maggiore soddisfazione, nei corsi meno frequentati. Saranno “costretti” a fare i corsi dei primi anni?
Quindi limitare il reclutamento all’IF mi sembra limitativo, con il rischio di aver la media (massa) degli studenti con una preparazione modesta salvo le eccellenze che ci saranno sempre, indipendentemente dal docente e dalla sede.
I finanziamenti, chi li deve dare? Possiamo basare le nostre sofisticate ricerche sui fondi raccolti con le giornate televisive o con la vendita di azalee, arance etc… in piazza?
Penso che la situazione sia molto più grave: per esigere bisogna dare! ..... e noi siamo dei “fannulloni”. Non mi sento e non mi sono mai sentito tale, anche se devo riconoscere che ci sono molti colleghi che hanno nell’Università un impegno veramente modesto.
Dobbiamo partecipare alle varie attività accademiche su un livello ottimale per un buon funzionamento dell’Università e, quindi, per gli studenti e per la comunità tutta. Poi ci saranno le eccellenze, ma limitare tutto all’IF mi vede contrario, anche perché è un modo per farci sentire in colpa e per farci criticare, anche quando siamo convinti di avere svolto il nostro dovere con risultati apprezzabili. Commissioni per la valutazione dell’attività scientifica ed anche per la didattica sono disponibili, anche se è stato conferito loro un impatto molto limitato.
Il criterio unico, oggettivo, per valutare la bravura di una persona non esiste, ma esistono i criteri, e li conosciamo tutti, per discriminare tra l’universitario bravo e quello che non è giusto che stia nell’università al posto di uno più capace.
Le nostre proposte per i criteri di selezione devono essere formali o quanto più obiettive possibile? L’Università l’abbiamo in parte gestita noi, l’aspetto formale ci protegge dalle critiche, ma l’Università deve essere un continuo progresso di idee, di libertà intellettuale etc… A quanti concorsi abbiamo partecipato in cui non abbiamo avuto il coraggio di andare contro l’amico? Siamo convinti di aver fatto sempre il nostro dovere di uomini liberi? Personalmente ho dei dubbi, anche su me stesso.
Una soluzione per avere alti IF potrebbe essere la separazione delle carriere: alcuni dedicati alla didattica, altri alla ricerca, ben finanziata. Ma i soldi non ci sono e quei pochi vanno a “Centri di Eccellenza” rendendo impossibile la ricerca “artigianale”, che in passato ha permesso la costituzione dei centri e che dovrebbe permettere il loro rinnovamento.
A mio avviso le criticità sono, in ordine, la mancanza di fondi, l’inesistente ingresso di nuovi ricercatori, il nostro fisiologico, sclerotizzante invecchiamento e soprattutto la carenza di idee innovative e la tendenza alla consorteria.
Essendo a fine carriera non ho interessi personali e mi spiace per i miei allievi se non sono stato un buon capo, in quanto ho confidato sulle loro capacità e non sugli aiuti che potevano venire da “amici”. Ho cercato, però, di infondere loro il senso dell’onestà, della serietà nell’impegno universitario ed ho la soddisfazione che alcuni hanno risposto.

Aldo Becciolini, Radiobiologia, UNIFI

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