sabato 13 dicembre 2008

riunione 13 dicembre

cari colleghi, questa mattina ci siamo riuniti a zoologia in un'aula dal notevole aspetto antico. Eravamo poco piu` di una trentina di persone. La discussione e` stata accesa, talvolta confusa e questo non pretende di essere un verbale.

Ho spedito spero a tutti questo piu' un documento simile a quelli qui sotto ma con qualche variante uscita dalla discussione e che dovrebbe ritornarmi fra breve. Poi lo mtto sul blog. Se non lo avete ricevuto scrivetemi.

1. Vannini ci ha informato che sembra che il decreto Gelmini verra` votato definitivamente mercoledi' con la fiducia, pertanto i tempi per un nostro ulteriore intervento non esistono, sembra quindi chiaro che e` meglio impegnarci su una battaglia di piu` lungo periodo. Se qualcuno conosce ulteriori canali tramite cui mandare la prima lettera si attivi, ma io ne ho provati veramente tanti.

2. L'opinione prevalente e` che l'Universita` e` un sistema complesso e vari macrosettori, come Scienze, Ingegneria, Medicina, Legge, Discipline Umanistiche hanno problematiche diverse, quindi modi di valutazioni diversi anche se a mio avviso vi sono delle esigenze di base comuni di proteggere il livello scientifico e culturale in tutte queste discipline. Nonostante 500 e piu` firme non siano una cosa trascurabile, e` necessario aumentare la nostra forza. Come fare?

Riteniamo che l'unita` centrale dell'organizzazione universitaria sono i Dipartimenti e quindi il nostro primo obiettivo e` di raggiungere tutti i dipartimenti d'Italia tramite i direttori. Alcuni colleghi hanno promesso di stilare liste di e-mail, vediamo come procede la cosa, abbiamo bisogno di maggior coinvolgimento delle discipline umanistiche e di altri settori interessati alla scienza in senso lato.
Vogliamo raggiungerli per richiedere adesioni sulla base di due documenti programmatici, che qualificano la nostra iniziativa. Il primo e` la lettera alla Gelmini da cui siamo partiti, il secondo deve uscire in tempi brevissimi da una messa a punto finale del documento, messo nel mio blog, elaborato da me sulla base della discussione fatta nelle ultime settimane. Ve lo ripresento con piccole variazioni che tengono conto della discussione di oggi.

3. L'idea del Forum resta in piedi ma i tempi per ora non sono definiti, sembra necessario, anche per motivi di visibilita` mediatica, di darci una forma associativa con un nome e un logo, come nome propongo "Liberiamo l'Universita`" (da tutto quello che la soffoca) il logo lo dovrebbe fare qualche collega di architettura, spero che se ne occupino i colleghi di Ingegneria che hanno promesso di costruire un sito internet piu` professionale di quelli che abbiamo ora.
L'adesione a questa associazione e` subordinata all'accettazione dei due documenti con cui partiremo (non possiamo ogni volta rimettere in discussione tutto).


4. Molti vorrebbero un colloquio con Gianni Letta ma si discute sul come e quando.

5. Vi sono varie preoccupazioni sull'Universita` pubblica, il Forum potrebbe produrre almeno degli strumenti per monitorare lo sviluppo di alcune iniziative dissennate di pseudo universita` private. Infatti molti di noi quando pensano a universita` privata pensano ad Harvard o al massimo a Bocconi mentre il pericolo italiano potrebbe essere il modello C.E.P.U..

6. Un collega e` estremamente preoccupato per nuove figure di professori a contratto che potrebbero riportare il modello degli incaricati di infausta memoria, qui occorre vigilare. Il mondo scientifico e` molto preoccupato perche' la contrazione dei finanziamenti puo` distruggere completamente tutte le attivita` scientifiche sperimentali. Preoccupano i nomi dei "saggi" della Gelmini, come Cingolani che ha in questo un enorme conflitto di interessi.

Chiaberge

Cari tutti
inserisco su richiesta di Francesco Zucconi links ad una intervista a Chiaberge, ex direttore SNS -Pisa.
Ciao

http://www.radioradicale.it/files/active/0/EGSY0p1.pdf

http://www.radioradicale.it/files/active/0/EGSY0p2.pdf

venerdì 12 dicembre 2008

Trasformiamo l'Università! II

Avendo spiegato la Proposta 1, credo che questa vada integrata nella proposta generale, in quanto senza la divisione fra carriera didattica e scientifica si rischia di penalizzare eccellenti colleghi che per ragioni varie non vogliono o non possono occuparsi di ricerca, mentre danno un prezioso contributo alla didattica e/o all'amministrazione.

giovedì 11 dicembre 2008

Trasformiamo l'Università!

cari amici, molti vorrebbero stringere. Vogliamo provare ad anticipare parte di quello che discuteremo, utilizzando la discussione avvenuta?
Vi propongo un Primo documento con un sondaggio:


TRASFORMIAMO L'UNIVERSITÀ!

Le nostra idea di Università è incardinata su tre principii:
valutazione, competizione, cooptazione.

In dettaglio:

Abolire i concorsi, introducendo invece una previa idoneità nazionale
Abolire il lavoro precario sottopagato
Abolire le facoltà
Abolire il valore legale dei titoli di studio
Trasformare i ricercatori in docenti
La valutazione deve influire sui fondi per almeno il 30%
La valutazione deve influire sullo stipendio per almeno il 30%


Valutazione: vuol dire valutare preventivamente progetti, laboratori, dottorati in fase di finanziamento e poi successivamente in fase di rendiconto.
Insomma controllo dei risultati invece di una ragnatela di regole burocratiche inefficaci e dannose.

Competizione: vuol dire finanziare solo quei laboratori, dottorati che hanno un profilo di eccellenza senza disperdere in mille rivoli le limitate risorse.
Vuol dire anche premiare i migliori con incentivi economici e permettere alle varie sedi di fare offerte competitive per attrarre i migliori ricercatori e docenti.

Cooptazione: vuol dire togliere tutte le pastoie burocratiche dai meccanismi di reclutamento e progressione di carriera lasciando la piena responsabilità ai dipartimenti o ai laboratori. Disgiungere le funzioni scientifiche da quelle amministrative.

Vi è però una parte che SPETTA ALLA POLITICA.

Dobbiamo assolutamente sapere se la ricerca scientifica è un obiettivo prioritario dei governi e del parlamento. Vi è una sola risposta seria a questa domanda, allineare la percentuale del PIL dedicato alla ricerca a quella dei paesi virtuosi.

In assenza di questa risposta abbiamo il dovere morale di informare i nostri giovani che la ricerca in Italia non è una priorità e che quindi si regolino di conseguenza nelle loro scelte.

post scriptum: chiaramente se si toglie uno dei tre pilastri l'edificio crolla.

Mi spiego

Scusate ho messo il post di Stella nel blog sbagliato!

Ormai che l'ho fatto dico qualcosa anch'io.

Penso che il pezzo di Stella ci serva per capire che bisogna fare una proposta molto netta e chiara.
A costo di essere un po' grezzi.
Questo perchè il clima è pesantissimo e oramai siamo sostanzialmente sputtanati agli occhi della pubblica opinione.

In questo momento in cui milioni di persone vivono un Natale di incertezza, non sapendo se torneranno a lavorare, dobbiamo far capire che siamo disposti a fare la nostra parte. Tutti.
Il governo ci ignora parlando solo con Giavazzi o chi per esso.

Facciamo quindi delle proposte dirompenti e comprensibili che sorpassino il governo con un movimento laterale. Se no io penso che il grande sforzo che si sta cercando di fare finisca per non "bucare" e sappia un po' valzer delle candele sul titanic.


Io ne avrei una:
si convochino consigli di facoltà straordinari per effettuare una valutazione straordinaria dell'attività didattico- scientifica dei docenti- ricercatori.

Si pubblichino i risultati con

numero di pubblicazioni
ore di lezione
studenti "processati"
attività organizzative
attività di pubblica utilità ( panelist, referee...)
etc.

chi risulta sotto una media normalizzata si vedrà tolti i fondi di ateneo e il vecchio 60%.


Che ne dite?

Francesco Vaccarino

G.A: Stella Corriere della Sera

L'Italia degli «atenei inutili»
In 33 nemmeno una matricola

Il caso limite di Celano, sui monti della Marsica: un corso di ingegneria agroindustriale con 7 prof per 17 ragazzi

Zero, zero, zero, zero, zero... È tutta lì, la fotografia della follia dell'Università italiana. Nella ripetizione per 33 volte, nella casella «immatricolati» di altrettanti «atenei» distaccati, del numero «0». Neppure un nuovo iscritto. Manco uno. Prova provata che la decisione megalomane e cocciuta di volere a tutti i costi almeno un corso di laurea sotto il campanile era totalmente sballata. Il dato, che conferma le denunce più allarmate, è contenuto nel Rapporto annuale 2008 sul nostro sistema universitario.
Il rapporto (i cui dati sono del 2007, qua e là aggiornati fino alla primavera scorsa) viene presentato oggi da Mariastella Gelmini. E possiamo scommettere che accenderà un dibattito infuocato. Perché delle due l'una: o queste cifre sono corrette (e se è così in molti casi serve un lanciafiamme) o lo sono solo in parte. E in questo caso il quadro sarebbe paradossalmente ancora più grave. Ogni numero del documento, infatti, risulta ufficialmente fornito alla banca dati del Miur dagli stessi atenei. Il rapporto, si capisce, offre una carrellata su un sacco di cose. Dice che gli studenti stranieri sono al massimo il 7,1% (a Trieste) e si inabissano allo 0,1 a Messina. Riconosce che la spesa media per ogni giovane iscritto negli atenei statali è di 8.032 euro contro i 15.028 che vengono spesi in Austria o i 23.137 in Svizzera. Spiega che siamo «al terzo posto al mondo, e addirittura al primo in Europa, per accessibilità, cioè per il numero di università (e relativi studenti) che si trovano tra le prime 500 università», ma che al contrario scivoliamo al 30˚ «per Flagship, ovvero per la qualità delle primissime università». Denuncia che le spese per il personale sono passate dal 2001 al 2006 da 5 miliardi e 764 milioni di euro a quasi 8 miliardi. Annota che l'età media dei docenti si è inesorabilmente alzata ancora.

LE CLASSIFICHE Riporta le classifiche mondiali elaborate dalla Quacquarelli Symonds, secondo le quali abbiamo solamente 10 università nelle prime 200 d'Europa (contro 47 del Regno Unito, 37 della Germania, 19 della Francia o 12 dell'Olanda, che ha un quarto dei nostri abitanti) e per di più queste, ad eccezione del Politecnico di Milano, di Padova e della Federico II di Napoli, perdono nel 2008 nuove posizioni rispetto alla già scoraggiante hit-parade dell'anno precedente. I numeri più impressionanti, però, sono forse quelli che dimostrano l'assurdità della moltiplicazione di «città universitarie». Cioè di paesotti, borghi e contrade a volte microscopici che hanno fortissimamente voluto qualcosa che potesse definirsi «universitario» come simbolo di riscatto o di promozione sociale alla pari di uno svincolo autostradale o di una circonvallazione. Una mania ridicolizzata dal costituzionalista Augusto Barbera con una battuta irresistibile: «Sogno di trovare all'ingresso dei paesi il cartello "comune de-universitarizzato"».
Un esempio per tutti? Poggiardo, seimila anime tra Maglie e Santa Cesarea Terme, in provincia di Lecce, dove il sindaco Silvio Astore non si è dato pace finché non ha avuto un distaccamento della Lum, Libera università mediterranea: «Il nostro paese è oramai una meravigliosa realtà accademica d'eccellenza e concorre a pieno titolo a un rilancio culturale del tessuto socioeconomico del territorio». Dice dunque il Rapporto annuale del ministero, liquidando questi «napoleonismi» campanilistici, che su 239 «città universitarie» inserite nel «catalogo» (anche se i conti non tornano con altri studi, come quello di Salvatore Casillo, Sabato Aliberti e Vincenzo Moretti, tre docenti salernitani autori mesi fa di un censimento che aveva contato 251 comuni che ospitavano almeno un corso di laurea) molte esistono ormai solo sulla carta. E dopo essere appassite in una manciata di anni, risultano somigliare a certi Enti Inutili che si trascinano dietro pendenze varie che ne ostacolano l'immediata soppressione.

SENZA STUDENTI Numeri ufficiali alla mano, 42 «atenei» hanno meno di cinquanta immatricolati, 20 ne hanno meno di venti (Moncrivello, Bisceglie e Pescopagano 12, Caltagirone e Andria 11, Figline Valdarno 5, Trani uno solo) e trentatré, come dicevamo all'inizio, non hanno più un solo studente che si sia aggiunto agli iscritti precedenti. Iscritti che in rari casi erano abbastanza numerosi (esempio: 480 ad Acireale), ma nella grande maggioranza dei casi erano già talmente pochi da fare impallidire chi si era incaponito sulla voglia di aprire una sede che potesse dirsi «universitaria». Venticinque studenti in totale al corso di «Tecniche erboristiche» a Bivona (dove non ci sono mense né pensionati né postazioni Internet né laboratori né biblioteche), 41 a Sanluri, che coi suoi 8.519 abitanti è il capoluogo della provincia sarda di Medio Campidano, 11 nell'emiliana Varzi, 4 a Corigliano Calabro e nella siciliana Vittoria. E poi un solo sopravvissuto a Spoleto, Città della Pieve, San Casciano in Val di Pesa... Al di là di questo e quel caso singolo, più o meno tragico o ridicolo, è un po' tutto il sistema da riformare. Lo dice, ad esempio, il presidente della Provincia di Agrigento Eugenio D'Orsi. Il quale, in crisi coi conti, ha sparato a zero sul modo in cui è stato costruito il polo universitario agrigentino, legato a quello di Palermo, dicendo che è del tutto «superfluo avere ben 17 corsi di laurea uno dei quali addirittura con un solo studente». Tanto più che un docente portato a insegnare nella valle dei Templi costa quasi il triplo più che nella città di santa Rosalia.

«MODELLO CELANO» - Al «modello Celano» è stata dedicata qualche settimana fa un'inchiesta del Messaggero. Che si è chiesto che senso avesse mettere su, in un «borgo montano sperduta nel nulla » con le aule affacciate sui monti della Marsica, un corso di laurea in Ingegneria Agro-Industriale. Corso partito quest'anno con 17 matricole e 7 professori. Uno ogni due studenti. Il tutto finanziato («Noi non ci rimettiamo un euro», ci tiene a spiegare il rettore dell'Università dell'Aquila Ferdinando di Orio) da un Consorzio voluto dal Comune, banche e alcune aziende locali. Il record però, probabilmente, è di Sorgono, un paese sardo che coi suoi 1.949 abitanti è meno popolato di certi palazzoni popolari nelle periferie delle metropoli. Senza una facoltà proprio non riusciva a stare. Adesso c'è un corso di laurea in Informatica. Se dovesse non essere sufficiente (nessun immatricolato nuovo, ma i vecchi iscritti sono 38: wow!), il panorama nazionale è in grado di suggerire un mucchio di corsi alternativi. Tra le migliaia e migliaia già offerti ai più fantasiosi studenti italiani, almeno alcuni meritano una segnalazione: «Scienze e Tecnologie del Fitness e dei Prodotti della Salute», «Scienze del Fiore e del Verde», «Etologia degli Animali d'Affezione»...

Gian Antonio Stella

martedì 9 dicembre 2008

obbiettivi a breve termine

A parte i desideri di fuga, dobbiamo ricordare che il compito che ci siamo posti davanti non é descrivere la futura università in tutti i dettagli né stendere una riforma universitaria chiavi in mano. Credo che dobbiamo concentrarci su dei principi ben individuati e circoscritti, e lasciare al legislatore il compito di tradurre in pratica le cose (sempre ammesso che ...). Se siamo contrari ai concorsi e puntiamo nel rovesciare il meccanismo, puntando alla cooptazione, é importante dire che la cosa deve essere intimamente legata alla valutazione (sia nei riguardi del reclutato che dell'ente reclutante). Come realizzarlo, quando, come passare da un sistena all'altro, la definizione dell'esatto quadro normativo necessario, la possibilità che i singoli atenei si organizzino o no come piace a loro, tutto questo dovrebbe essere compito di chi dovrà poi stendere la legge punto per punto. Vogliamo davvero, da qui a 1-2, mesi arrivare a tanto ?
preferirei un anno sabbatico in un mangrovieto kenyano. Avrei bisogno con me di un fisico, più che di un matematico, e di un fisiologo. Credo che con un paio di giri di mail il problema si possa però risolvere.

TRASFERIAMOCI IN CINA cliccate!

Ho appena visto questo sunto da Report e mi sono convinto a prendere un posto di assistant professor all'Università di HOHHOT nella Mongolia inferiore. Vi manderò un e-mail con il mio i-phone dal dorso di un cammello. Nihao!

Claudio Procesi

Ricerca, didattica e valutazione dei docenti

Ho anche io delle considerazioni da fare, da vecchio, alla fine della carriera universitaria, quindi fuori da “necessità personali”.
I messaggi sono concentrati sulla valutazione della attività scientifica: l’impact factor è il parametro che discrimina i buoni dai cattivi e nella maggior parte dei casi è visto come unico criterio per valutare la “bravura” di un candidato.
Sono d’accordo che debba essere tenuto in considerazione, ma accanto a questo devono esserci altri criteri per la valutazione del “valore universitario” dell’individuo.
Infatti l’Università è la sede della didattica e della ricerca. Entrambe le cose, non una sola.
Conosco colleghi valenti Ricercatori, ma che non riescono a farsi comprendere nelle loro lezioni e al momento dell’esame promuovono tutti, senza criticità. Altri colleghi hanno grosse capacità di gestione e sono altrettanto validi nell’organizzazione e nel funzionamento degli organi Accademici ai vari livelli. Parte del loro tempo è dedicato alla gestione e, se fatta bene, per l’università e per gli studenti, se ne deve tenere conto come criterio di merito.
Vedo il rischio che la rincorsa alle pubblicazioni indicizzate allontani i ricercatori dal fare lezione, per dedicarsi esclusivamente alla loro carriera futura. I professori che fanno lezione a 100-200 studenti, con i relativi esami cercheranno, come già avviene, di insegnare con maggiore soddisfazione, nei corsi meno frequentati. Saranno “costretti” a fare i corsi dei primi anni?
Quindi limitare il reclutamento all’IF mi sembra limitativo, con il rischio di aver la media (massa) degli studenti con una preparazione modesta salvo le eccellenze che ci saranno sempre, indipendentemente dal docente e dalla sede.
I finanziamenti, chi li deve dare? Possiamo basare le nostre sofisticate ricerche sui fondi raccolti con le giornate televisive o con la vendita di azalee, arance etc… in piazza?
Penso che la situazione sia molto più grave: per esigere bisogna dare! ..... e noi siamo dei “fannulloni”. Non mi sento e non mi sono mai sentito tale, anche se devo riconoscere che ci sono molti colleghi che hanno nell’Università un impegno veramente modesto.
Dobbiamo partecipare alle varie attività accademiche su un livello ottimale per un buon funzionamento dell’Università e, quindi, per gli studenti e per la comunità tutta. Poi ci saranno le eccellenze, ma limitare tutto all’IF mi vede contrario, anche perché è un modo per farci sentire in colpa e per farci criticare, anche quando siamo convinti di avere svolto il nostro dovere con risultati apprezzabili. Commissioni per la valutazione dell’attività scientifica ed anche per la didattica sono disponibili, anche se è stato conferito loro un impatto molto limitato.
Il criterio unico, oggettivo, per valutare la bravura di una persona non esiste, ma esistono i criteri, e li conosciamo tutti, per discriminare tra l’universitario bravo e quello che non è giusto che stia nell’università al posto di uno più capace.
Le nostre proposte per i criteri di selezione devono essere formali o quanto più obiettive possibile? L’Università l’abbiamo in parte gestita noi, l’aspetto formale ci protegge dalle critiche, ma l’Università deve essere un continuo progresso di idee, di libertà intellettuale etc… A quanti concorsi abbiamo partecipato in cui non abbiamo avuto il coraggio di andare contro l’amico? Siamo convinti di aver fatto sempre il nostro dovere di uomini liberi? Personalmente ho dei dubbi, anche su me stesso.
Una soluzione per avere alti IF potrebbe essere la separazione delle carriere: alcuni dedicati alla didattica, altri alla ricerca, ben finanziata. Ma i soldi non ci sono e quei pochi vanno a “Centri di Eccellenza” rendendo impossibile la ricerca “artigianale”, che in passato ha permesso la costituzione dei centri e che dovrebbe permettere il loro rinnovamento.
A mio avviso le criticità sono, in ordine, la mancanza di fondi, l’inesistente ingresso di nuovi ricercatori, il nostro fisiologico, sclerotizzante invecchiamento e soprattutto la carenza di idee innovative e la tendenza alla consorteria.
Essendo a fine carriera non ho interessi personali e mi spiace per i miei allievi se non sono stato un buon capo, in quanto ho confidato sulle loro capacità e non sugli aiuti che potevano venire da “amici”. Ho cercato, però, di infondere loro il senso dell’onestà, della serietà nell’impegno universitario ed ho la soddisfazione che alcuni hanno risposto.

Aldo Becciolini, Radiobiologia, UNIFI

CERCHIAMO DI CAPIRCI!

La discussione va avanti, un po' disordinata, ma un concetto essenziale, al di là di tutti i dettagli, stenta ancora ad imporsi.

Quello che è necessario è far emergere quella classe dirigente scientifica, sana, competente ed aperta che esiste in Italia ma che è bloccata da infinite trappole burocratiche, veti politici e sindacali etc..
È assurdo pensare di metterci per alcuni anni sotto la tutela di colleghi stranieri, le persone eccellenti già le abbiamo, o affidarci alla sorte oppure inventare altri marchingegni formali che dovrebbero garantire per forza comportamenti virtuosi.

L'unica cosa che impedisce comportamenti poco virtuosi ad uno scienziato di fama internazionale, oltre ovviamente alla sua coscienza, è il rischio di perdere la faccia nella propria comunità ovvero la propria credibilità. Per questo il confronto deve essere allargato fuori dei settori disciplinari, perché un singolo settore può decadere ma l'intera comunità scientifica ed accademica ha maggiori anticorpi. Quando vari colleghi protestano vivamente per l'immagine dell'università che viene spacciata dai media, non fanno altro che cercare di mostrare che una possibile classe dirigente sana esiste. Se la politica non fa la sua parte, o la fa male, questa classe dirigente non ha gli strumenti per emergere da sola, se non come avviene ora, in modo limitato, con il rischio continuo che una perenne frustrazione porta gli elementi migliori a ritrarsi nella propria ricerca e disinteressarsi del bene comune. Prima capiamo questo e smettiamo di fustigarci meglio è.

domenica 7 dicembre 2008

INCOMPATIBILITA DI SEDE

tra le tante proposte di cambiamenti e innovazioni che sono in circolazione, mi pare manchi una proposta che reputo di importanza cruciale (anche per esperienza personale) per una brusca sterzata: bisogna sostenere con forza una norma che prescriva la chiamata di un idoneo ad associato o ordinario in un’ università che NON sia la stessa dove l’idoneo è inquadrato! Se questa norma fosse stata mantenuta nella versione pubblicata del decreto Berlinguer sull’autonomia (l’abbiamo tutti letta nella bozza definitiva del decreto e poi chissà perché scomparve sulla Gazzetta!) sarebbero avvenuti molti ma molti meno pastrocchi concorsuali (oliati anche dalle tre/due idoneità locali) e il tetto del 90% dell’FFO sarebbe stato sforato o avvicinato da molti meno atenei. (Pensa anche al reshuffling di idee e esperienze che può promuovere qs norma sia a livello di persone sia di ambienti!) Un cordialissimo saluto.
Piero Luporini - Università di Camerino

SCONVOLGENTE

Leggo solo oggi di 15 ricercatori morti nel laboratorio dei veleni a Farmacia nell'Università di Catania, altri gravemente malati; anche se la notizia fosse gonfiata è comunque sconvolgente. La magistratura sta accertando i fatti. Possiamo tacere? Come professori ed accademici è nostro dovere garantire che i nostri laboratori, TUTTI anche i più scalcinati e sottofinanziati, siano luoghi di avviamento alla vita e non alla morte.

Se alcune autorità accademiche avessero sottovalutato o peggio nascosto i fatti saremmo ben oltre la ordinaria corruzione e incompetenza ma entreremmo nel mondo della mostruosità, il mondo di Mengele e Mugabe. Cosa fare? Chiedo aiuto ai colleghi che hanno esperienze di laboratorio per idee e proposte, nel mio mondo le peggio nefandezze possono al più causare un esaurimento nervoso, forse un suicidio. Forse una commissione tecnico-scientifica che visiti i nostri laboratori, parli con i ricercatori?

Non credo che possiamo demandare il tutto alla politica o alla magistratura.

dottorati ed università di serie A e B

Non mi piace l'idea di distinguere formalmente università di serie A/B nè docenti di serie A/B. Un'Ateneo é un insieme composito, si può solo classificare in relazione al numeor di studenti. Sono le Unità Operative (UO) che si possono classificare : dipartimenti e singoli docenti. Qualora finanziamenti, fondi per borse dottorato, cofinanziamenti per PRIN ed assegni, andassero alle UO più produttive lo scaglionamento avverrebbe automaticamente. Il dottorato non si fa negli atenei ma nei dipartimenti singoli o consorziati. le mega-scuole di dottorato sono delle truffe ideologiche (ed a volte pratiche). Solo i dipartimenti (o i consorzi) i cui docenti mostrassero di avere un CV adeguato dovrebbero essere abilitati a gestire dottorati, in un sistema fluido, mutevole di anno in anno, senza steccati rigidi. D'altro canto, in un Ateneo mediamente pessimo, categoria C - - , perché negare alla singola scuola di Parapsicologia virtuale, di fama internazionale, di farsi il suo bravo dottorato ?