sabato 6 dicembre 2008

precari e bastonati

Una mia allieva, assegnista da anni, non ha vinto una Marie Curie per una frazione di punto. Nel suo CV ha ottenuto 4.5 invece di 5.0 perché nonostante avesse partecipato a numerosi progetti nazionali ed internazionali, non ne aveva mai coordinato nemmeno uno. In realtà ne aveva coordinati almento tre ma l'Università di Firenze non concede agli assegnisti di coordinare progetti. Qualcuno mi ha detto che in altre università italiane la cosa é possibile. E' vero ?
Grazie

AMMINISTRAZIONE-VISCO

GIUSTAMENTE parliamo di cose che conosciamo, ma ci sono enormi problemi di struttura che non possiamo ignorare, anche se ci limiteremo a cercare di capire le opinioni di altri, leggete con cura il testo di
Vincenzo Visco.

documento in difesa dell'Universita' dalla U. Statale di Milano

Segnalo che e' disponibile in rete un documento elaborato all'Universita' Statale di Milano, Economia del lavoro, in difesa dell'Universita' italiana. Si tratta di un lavoro coordinato da Marino Regini, annunciato giorni fa da un articolo sul Corriere della Sera. E' interessante il confronto di alcuni numeri concreti dell'universita' italiana con quelli di universita' straniere, che smonta parte delle polemiche piu' demagogiche e meno competenti sull'universita' italiana. Questo non siginifica - a mio parere personale - che l'universita' italiana non abbia ugualmente bisogno di profonde riforme.

Approfitto per includere qualche altro collegamento utile:

R. Perotti, Lo splendido isolamento dell'università italiana
E' un lavoro del 2004, quindi precedente all' Universita' truccata. Parte dal lavoro di King (The scientific impact of nations, 2004), e fa un confronto approfondito tra universita' italiana e inglese.

Rapporto OECD Education at a Glance 2008

Precari, lavoro gratuito e concorsi

Cari tutti, come mi è stato richiesto, pubblico di seguito i messaggi che sono girati via mail riguardo alla situazione dei precari che lavorano quasi gratis.

On Dec 6, 2008, at 11:07 AM, Marina wrote:
Gentile Enrico, i giovani lavorano gratis o quasi, perché questo è l'unico modo per entrare in università, almeno all'inizio (mi riferisco alle Facoltà umanistiche e non conosco le situazioni di altri settori). Il che non comporta che siano mantenuti, ma che abbiano un doppio o triplo lavoro!L'assegno di ricerca, di cui sono attualmente titolare dopo sei anni di contrattini con retribuzione irrisoria, mi apporta 1300 euro netti al mese, a cambio dei quali devo: fare didattica, seguire tesi, ricevere, partecipare alle riunioni, fare ricerca, scrivere libri miei e non solo (senza fondi per pubblicarli), pagandomi da sola viaggi, testi rari, antichi e introvabili, oltre a spese di ogni genere per la ricerca. Se al netto togliessi le spese per inchiostro, carta, acquisto testi e viaggio (che i docenti coprono con i fondi), mi rimarrebbero all'incirca 700 euro al mese. Per sopravvivere bisogna lavorare in più università e integrare con le scuole! Faccio ricerca la notte e didattica di giorno.
Ma se voglio rimanere in ambito accademico è così, come mi hanno ribadito entrambe le sedi con cui collaboro (contratti co.co.co o occasionali, dipende non si capisce bene da cosa).

Gentili tutti, al fine di risolvere la situazione esposta sopra, aggiungo la mia PROPOSTA:
-Ripristiamo la figura dell'assistente assunto, per favore! Almeno ci sarebbero i contributi pagati e uno stipendio! Includiamo i giovani precari nella distribuzione dei fondi, sottoponendoli a valutazione periodica (lo stesso per i docenti), certo.
-Stabiliamo un minimo stipendiale, fissando un limite di ore di didattica ricomprese in quella cifra e stabilendo a priori quali compiti rientrino.
-Infine, ristabiliamo anche quali sono i compiti delle segreteria e del personale tecnico amministrativo, in modo da restituirli a loro, sgravando i giovani precari di compiti che non dovrebbero certo toccare a loro!

Date: Fri, 5 Dec 2008 10:54:06 -0600 (CST)From: Enrico
Concordo con Mirella,ma sono piu' radicale: i giovani devono piantarla di lavorare gratis! Se lavorano gratis, rovinano il mercato a chi non puo' permettersi di fare altrettanto.Non ne posso piu' di questi precari per scelta che prima decidono di lavorare gratis (chi li mantiene?) nella speranza che qualcuno regali loro un posto e poi protestano contro un precariato che loro stessi hanno scelto e favorito.Uno puo' pure decidere di lavorare gratis per "amore della scienza" o semplicemente per "andare in paradiso": ma nel qual caso non puo' chiedere a viva voce che si tarocchi un concorso per farlo vincere per forza...Scusate se son troppo diretto.Bye,E.

Date: Sat, 06 Dec 2008 02:49:19 +0100 From: Gennaro
Cari colleghi,il dibattito che si sta sviluppando sullo 'status' dei precari della ricerca è interessante e merita, a mio parere, una considerazione molto più approfondita.Purtroppo 18600 Euro annui, quando ci sono, sono pochi anche in luoghi diversi da Milano (per esemppio qui ad Udine), ma lo scandalo più macroscopico è che molto spesso i precari lavorano per somme ben più irrisorie, se non gratis,al limite. Questo dovrebbe essere del tutto bandito dall'Università e da qualsiasi ambiente di ricerca pubblico.Un importante elemento per evitare situazioni al di sotto della decenza, se non al limite dello schiavismo, dovrebbe essere la deontologia professionale di chi ha responsabilità di conduzione scientifica e manageriale dei gruppi di ricerca. Tuttavia, poiché appellarsi alla coscienza deontologica non funziona (è un'amara postdizione), credo che occorra creare obblighi di legge ben precisi per evitare abusi che, oltre ad essere lesivi della dignità professionale del lavoro intellettuale, spianano la strada al malcostume ed al servilismo.Avevo sottoposto alla considerazione di tutti nel blog antesignano di questo forum due proposte ed un criterio, e mi pare il caso di ripresentarli dato che non li ho più visti in giro. Una di queste proposte concerne proprio la regolamentazione dello status dei precari, per riconoscere, per legge, una validità ai fini pensionistici del lavoro svolto, oltre al riconoscimento in termini di copertura socio-sanitaria. Con qualche ulteriore aggiunta e precisazione, riformulo le proposte, che sono delle ricette operative urgenti per aumentare gli stanziamenti alla ricerca pubblica, ed il criterio, che è una linea guida generale per la salvaguardia del 'buoncostume' professionale dei ricercatori.Sulla necessità di aumentare l'entità dello stanziamento pubblico alla ricerca, penso non vi sia bisogno di commentare, la riconoscono anche le pietre.Idem sulla necessità di adottare misure di controllo della qualità scientifica degli universitari.
PROPOSTE
A) Contributi previdenziali versati dallo Stato per i giovani ricercatori che lavorano nell'Università e negli enti pubblici di ricerca come precari con borse postdottorato di ogni genere.L'Italia è l'unico paese della UE dove è possibile assumere giovani ricercatori sottopagandoli e senza alcuna tutela socio-previdenziale, o al limite a retribuzione nulla, senza incorrere nelle sanzioni di una disciplina vigente in materia. Lo stato di precarietà lavorativa nella ricerca è diffuso in tutto il mondo, è una delle modalità tipiche dell'acesso alla ricerca che precede la stabilizzazione, ma che può durare anche a lungo senza necessariamente risolversi con esito positivo. Perché solo in Italia chi è precario della ricerca deve anche vedere vanificati i migliori anni della sua produttività intellettuale ai fini della sua carriera contributiva previdenziale?A più riprese, governi di diverso colore politico hanno varato schemi legislativi per alleviare l'industria dal 'gravame' della contribuzione sociale per i neoassunti, anche con forme di contratto a termine.Un provvedimento del genere non è stato mai adottato per i precari della ricerca universitaria.La richiesta è che divenga prassi ordinaria ed istituzionale il versamento da parte dello Stato dei contributi socio-previdenziali e pensionistici ai giovani ricercatori precari di università ed enti pubblici di ricerca.Quindi ciascun contratto che viene stipulato, per conto di un gruppo di ricerca, da un dipartimento o da una facoltà universitaria o da qualsiasi altra amministrazione di enti di ricerca pubblica, dovrà essere integrato dallo Stato con la quota corrispondente per i versamenti assicutarivi sanitari, antiinfortunistici e pensionistici.Ciò costituisce un incremento concreto di stanziamenti per la ricerca.
B) Esenzione IVA della ricerca pubblica - comporterebbe l'aumento netto del 20% per i fondi a disposizione per acquisti di ogni genere di beni e prestazioni finalizzate alla ricerca. L'Italia è uno dei pochi paesi leader europei in cui si paga ancora l'IVA sulla ricerca.Attualmente in Italia l'unica esenzione IVA a beneficio della ricerca si ottiene solo se si dispone di fondi UE, comunque per acquisti non inferiori a 500 Euro.L'esenzione IVA per la ricerca dovrebbe rigidamente escludere la ricerca industriale che già riceve sovvenzioni oltre il dovuto in Italia, poiché è prassi tristemente consolidata, da parte dell'industria, presentare come ricerca attività ordinarie, per beneficiare di sgravi fiscali (regalare all'industria anche l'IVA sarebbe il colmo).
CRITERIO
Premesso che una riforma universitaria che possa bonificare l'ambiente dai guasti che si sono determinati in questi anni per la mancanza di criteri meritocratici reali e non solo di facciata, è realizzabile in molti modi (la cooptazione essendo la forma più estrema ma intellettualmente onesta), un criterio fondamentale da implementare se non si vuole vanificare l'impostazione meritocratica di un riassetto dell'università e quello della verifica successiva alla chiamata di professori e ricercatori.Dovrebbe essere istituzionalizzata una verifica biennale, basata su criteri diproduttività scientifica rigidi dell'attività di professori e ricercatori chiamati da qualsiasi facoltà.Qualora la verifica fosse negativa, la facoltà perderebbe l'equivalente di metà del budget destinato alla posizione di professore o ricercatore sottoposta a procedura di controllo biennale.Una seconda verifica negativa consecutiva comporterebbe un'ulteriore dimezzamento del budget sulla posizione verificata. Una terza verifica negativa consecutiva comporterebbe l'inquadramento del docente o ricercatore in altra amministrazione pubblica.Una verifica positiva comporterebbe il ripristino del budget nella misura di quanto perso al precedente controllo biennale.Una verifica potrebbe tuttavia essere anche più che positiva. In tal caso la facoltà guadagnerebbe un quarto del budget della posizione verificata.La contabilità amministrativa della compensazione economica del meccanismo sarebbe effettuata dai singoli atenei, con rientri o aggravi ulteriori a favore o a carico dei fondi oridinari di funzionamento.Un saluto a tuttiRino

On Fri, 5 Dec 2008, Mirella wrote:
Con questo messaggio vorrei soltanto esprimere il mio sconcerto per un aspetto che compare in modo ricorrente nei messaggi che ho ricevuto: viene considerato normale, seppure non auspicabile, il fatto che giovani vengano impiegati nel lavoro di ricerca senza alcuna retribuzione. Nel dipartimento in cui opero (ma penso sia così in genere nella Facoltà di Scienze dell?Università di Milano) un comportamento del genere non esiste! Nessuno lavora gratis: i giovani (dottorandi o post-doc) vengono pagati sui fondi di ricerca del gruppo in cui operano, con borse di studio (se hanno meno di 29 anni), con COCOCO o con assegni di ricerca. Questi non costituiscono certo una retribuzione favolosa, ma 18600 euro all?anno non possono essere considerati un?elemosina, soprattutto quando si vive in una città diversa da Milano, dove questa retribuzione è molto modesta, considerando che qui il costo della vita è alto.In conclusione, considero il comportamento sopra menzionato gravemente scorretto e ribadisco il mio stupore nel vedere che per molti colleghi esso venga invece considerato normale.

Date: 04/12/2008, Marina wrote:
Cari tutti,ciò che scriverò a continuazione riguarda la mia personale e sperienza e quella di numerosi altri giovani come me.
Innanzitutto vorrei dire a chi forma i proprio studenti più brillanti in vista di un futuro concorsi che la lunga trafila di compiti accademici non pagati, caratterizzano gli anni di dottorato e post doc, potrebbero anche servire al candidato per conoslidare la sua formazione e poter così competere anche in caso di valutazioni comparative nazionali e non truccate. Questo non toglie che sia ingiusto e faticoso passare lunghi anni senza retribuzione o con piccole somme da fame.
Nonostante io abbia fatto il Dottorato in altra sede, non capisco in nessuno modo la volontà di imporre che non si possa essere assunti presso l'università nella quale ci si è laureati: conoscere meglio l'ambiente e la burocrazia, oltre a essere in linea con le ricerche della sede dovrebbero essere considerati punti di forza del candidato e non uno svantaggio. Non ritengo utile impedire a un ordinario che ritenga capace e meritevole un suo studente di offrirgli la possibilità di un posto da ricercatore (per il quale il "maesro" deve lottare molto e non ne sarebbe disposto se non per qualcuno che stima). Il problema è che spesso si privilegiano i rapporti di parentela o di altro tipo, problema che si potrebbe risolvere soltanto se i fondi fossero strettamente legati alla quantità e alla qualità dei prodotti delle singole persone (e non del dipartimento).
Porgo un ulteriore spunto di riflessione: perchè ho la sensazione che, di nuovo, qualunque valutazione dei risultati possa privilegiare la quantità a scapito della qualità?
Infine, se essere docenti o ricercatori significa dedicare ore a cavilli burocratici o a pratiche amministrative, completare 120 ore di didattica annuali sommate a tesi, prove finali, riunioni e organizzazione di congressi, il tutto senza poter contare sulla collaboraione di altri se non dei dottorandi di turno, come si può fare seriamente ricerca? Molti reclutano gratuitamente mogli e famigliari per una migliore gestione, ma non tutti se lo possono permettere, e sopratutto, vi pare che questo sia etico? Marina

Sulle Università A e B. Qualche commento

Visto che Procesi ha ripreso il mio punto sulle Università differenziate, provo a spendere qualche altra parola sull’argomento, che è poi la sfida iniziale con Settis
Io, seguendo Settis, le ho chiamate Università di Ricerca (UR) e Università di Preparazione Professionale (UPP). Rinominiamole pure A e B.
Il motivo di fondo per la distinzione è quello di utilizzare meglio le risorse statali limitate. 100 Università dove si concedono dottorati di ricerca sono troppe! Bisogna diminuirne il numero! Lo credo che non ci sono abbastanza fondi per i dottorati quando se ne danno a c.. e p…. Dove esistono equipes di ricerca con facilities tali da essere competitive sul piano internazionale, il dottorato di ricerca è una necessità, dove non esistono è uno spreco. Se le Università tipo A (UR) fossero ridotte a 20 o 30, le equipes di ricerca che le animano potrebbero contare su 2 o 3 dottorandi ciascuna. Guardate le pubblicazioni scientifiche a livello internazionale delle scienze sperimentali. Oggi vi sono sempre molti autori (a volte più di dieci) ma due sono quelli più importanti, cui va la maggior parte del credito (attenzione alle valutazioni oggettive per persone singole!): il primo è generalmente il dottorando che fa il lavoro come tesi di dottorato, l’ultimo è il capo dell’equipe che pianifica e propone la ricerca in un quadro più generale. La carriera di un ricercatore consiste proprio nell’arrivare dal primo all’ultimo posto della lista. In mezzo ci sono tutti i gradini intermedi (anche i vecchioni come me , a volte!). L’80 90 per cento della ricerca scientifica sperimentale vera, a livello internazionale, è portata avanti da dottorandi (pagati possibilmente bene, magari con le provvigioni necessarie per le malattie e la pensione), altro che hobby optional !!
Inoltre si potrebbe evitare di dare i dottorati nelle scienze non sperimentali (mantenendoli per la matematica naturalmente) ed in quelle professionali.
Per scegliere quali saranno le sedi giuste per le UR (A), questo fa parte del lavoro di valutazione, e ci ritroviamo alla solita questione. Certo non si potrà lasciare questo compito a Giavazzi o ai candidi saggi della Gelmini!!!
Ricordo ancora che nei miei punti originari (vedi mio blog) avevo anche cercato di abbozzare un meccanismo per implementare la differenziazione in A e B ed il modo per gli atenei di passare in maniera competitiva dall’una al’altra delle due forme.

Giovanni Giacometti

Serie A e B, seconda parte.

Vorrei dedurre una bozza di proposta su questo tema, seguirò con qualche variante una idea di Salvatore, Giacometti e Vannini ripresa da altri. Due premesse:
1) dalla discussione è chiaro che molte proposte hanno senso solo se messe insieme a formare sistema.
2) le Università di serie A e B esistono in vari paesi, ma con enormi differenze. Agli antipodi: il sistema USA con "university", "college", e "junior college" ulteriormente differenziati al loro interno, all'opposto il sistema francese con le Grandes écoles. Una traccia di tale sistema da noi è la SNS di Pisa.

Il sistema USA non è praticabile (le ricche: endowment di Harvard: $30 miliardi,Princeton: $14 miliardi; le più povere: Northeastern endowment di $100 milioni) e, secondo me, neppure del tutto auspicabile. Per il sistema francese servirebbero dei notevoli investimenti cosa asssai dubbia di questi tempi. Si potrebbe seguire una semplice via di razionalizzazione del nostro sistema, con costi probabilmente assai limitati e di facile implementazione, simile alla scelta che ha portato ai professori a tempo parziale. La formulo (ma è solo una bozza) come

PROPOSTA 1:

creare due tipi di contratto:
a) Didattico
b) Di ricerca.

a) Nel Didattico la ricerca non è richiesta, ma neppure vietata, il docente opera comunque in un ambiente stimolante dove la ricerca si fa. Lo stipendio è fissato ed il carico didattico è almeno confrontabile con quello di un normale professore in una Università americana (credo siano almeno 150 ore di didattica frontale, ovvero 2+2+1 corsi, ciascuno di 30 ore, su tre quarters per anno accademico). Si noti che un quarter degli USA da noi diventa (con le stesse ore) un semestre, in gran parte per l'inefficientissimo sistema di esami. Io conosco colleghi che un tale carico didattico lo fanno volontariamente per pura coscienza professionale e che, anche se non svolgono ricerca sonomolto apprezzati.

b) Nel secondo il carico didattico è quello attuale o anche minore, la ricerca viene valutata periodicamente e lo stipendio varia in modo sensibile in funzione della attività svolta. Questo dovrebbe eliminare quelli che si prendono sei mesi di vacanze invece che di ricerca. Si può passare da un contratto all'altro.


Resta il fatto che: alcune cariche amministrative, come direttore di Dipartimento o Coordinatore di corsi di Laurea o Dottorato dovrebbero comportare una sensibile riduzione del carico didattico.


Naturalmente il punto cruciale resta la valutazione, se questa viene fatta con il sistema cane non mangia cane o per dirla diversamente todos caballeros fallisce totalmente. Quindi in questo come in altri argomenti che vedremo è essenziale non costruire un sistema autoreferenziale, non è facile, l'Italia è piena di corporazioni che giudicano se stesse.

venerdì 5 dicembre 2008

Serie A e Serie B?

Ci si chiede spesso: volete i docenti di serie A e serie B? Stessa domanda per Università? La domanda è sbagliata perché i docenti di serie A e serie B già esistono, solo che siamo in un mondo alla rovescia e quelli di serie B hanno maggiori privilegi di quelli di serie A. Fino a che non si capisce questo fatto elementare non si capisce nulla dell'Università.
Questo credo di averlo spiegato bene in DISTORSIONI, ma repetita iuvant, a parità di stipendio e di carico didattico il docente che non fa ricerca può arrivare a 6 o più mesi di vacanze l'anno.


Indubbiamente l'Università è una realtà composita, il mio collega clinico forse guadagna molte volte quello che guadagno io, con attività private, ma poi ha un pesante impegno di lavoro con il suo reparto ospedaliero un lavoro spesso massacrante.

Lo sperimentale non può abbandonare il suo laboratorio neppure per un giorno pena la distruzione dell'esperimento. Ma il teorico può starsene a casa o in giro per il mondo, a fare ricerca ma anche solo a fare bisbocce. In ogni caso è pagato lo stesso. Quindi chi lavora di meno è in pratica pagato di più.

Per le Università vale un discorso analogo, ben pochi fondi sono dedicati ai Dottorati di Ricerca che quindi diventano un optional una specie di hobby per fissati della ricerca scientifica. Di nuovo nessun premio per chi lavora di più.

Parlo di serie A e B perché il calcio è l'unica attività a cui il 99% degli Italiani non rinuncerebbe, da quelli che cantano Heil Hitler ai comunisti Dash, quelli che più comunisti non si può provate ad unificare le due serie e finalmente vedrete la rivoluzione.

Reclutamento: concorsi sì - concorsi no.

leggendo blog e messaggi, sembra che coloro che dichiarano che è l'ora di abolire i concorsi e di affidare ai dipartimenti il reclutamento per cooptazione, siano in maggioranza. Una certa quota nutre però delle riserve: non siamo ancora pronti, è una cosa da fare in futuro. Altri pensano che il meccanismo concorsuale possa essere migliorato. Certo che il reclutamento per cooptazione va legato alla valutazione periodica del reclutato, le due cose sono indissolubili. Messa la cosa così, forse in maniera un po' troppo semplicistica, ci possiamo provare a chiedere: siamo favorevoli alla abolizione dei concorsi? Siamo favorevoli ma solo tra qualche anno? Siamo contrari?

valore legale del titolo di studio ?

Credo che sia necessario un chiarimento relativamente all'abolizione del valore legale del titolo di studio. Solo da qui parte la possibilità di esercitare la vera autonomia che non abbiamo mai avuto. Quando ogni università, libera da costrizioni legali, potrà congegnare un percorso autonomo per laureare i propri studenti nei vari corsi di laurea (certo, concentrati, semplificati, ecc.) anche i criteri di reclutamento potranno essere rivoluzionati ed al limite, ogni università potrà adottare quelli preferiti, persino ogni dipartimento. L'unico criterio sarà quello di un impietoso esame finale sulla produttività in termini di idee, brevetti, pubblicazioni, ed efficienza didattica. Un esame per ogni singolo dipartimento e complessivamente per ogni singolo ateneo (e quindi valutazione delle unità operative coinvolte, ateneo, corso di laurea, dipartimento, docenti reclutati). Alla fine trasferimento di fondi in modo proporzionale alla valutazione, con scarti non simbolici tra il minimo e massimo (40 - 50%) (rinforzo positivo, direbbe uno psicologo d'altri tempi, premio di produzione, preferisco).

Valore legale, reclutamento, valutazione e premio finale di produzione, sono quattro punti intimamente legati ma non in modo circolare. Senza risolvere il primo gli altri possono vagamente essere modificati ma non veramente rivoluzionati.

Vogliamo davvero affidare i concorsi alla pura sorte ? E' una resa totale, equivale a dire che non siamo in grado di decidere. tanto vale andare a casa. Poichè siamo tutti molto intelligenti (altrimenti non ci avrebbero fatto professori) penso che non esista tecnica concorsuale che con la nostra intelligenza (ed il nostro addestramento) non si sia in grado di manipolare e piegare alle nostre esigenze. L'unica é abolire i concorsi, non se n'esce. Piaccia a non piaccia a Mussi o alla Gelmini.

giovedì 4 dicembre 2008

DISTORSIONI

Molti dei problemi delle Università Italiane provengono da una distorsione di nobili parole o propositi: Libertà, Autonomia, Democrazia, Unità fra didattica e ricerca. In un mondo ideale queste parole disegnano l'Università ideale ma, in quello reale: Libertà si trasforma in anarchia ed arbitrio, Autonomia in irresponsabilità e cientelismo, Democrazia in demagogia ed intrigo ed infine Unità fra didattica e ricerca in una barzelletta. Già non viene valutata la didattica, ma un minimo (forse) di obbligo in questa direzione generalmente viene svolto, per quello invece che riguarda la ricerca sappiamo che moltissimi docenti o non l'hanno mai fatta o hanno da tempo smesso di farla. Però godono di privilegi sconosciuti in qualunque altra parte del mondo, come insegnare per un unico semestre che nella definizione italica dura tre mesi. Esistono situazioni estremamente corrotte ma questo è un argomento che tutti vogliono evitare. La ragione è che si tratta comunque di un privilegio, anche per chi fa ricerca. Di fatto, per un giovane ricercatore brillante, questo compensa lo stipendio miserrimo che percepisce e diventa un forte incentivo a fare la ricerca restando in Italia, un enorme side-benefit. Che questo sia un sistema sensato è un'altro problema.

I miei due cent (anche un cent solo)

Secondo me i criteri formali non hanno alcun senso, tranne forse i requisiti minimi. Il problema di fondo è che, com'è noto, "la sintassi non veicola la semantica".

I criteri minimi possono (forse, e non del tutto) garantirci contro i casi indecorosi: è già qualcosa, ma -- a parte che anche le proposte di criteri minimi che ho visto finora sono tutt'altro che perfette -- non basta a garantire invece un buon funzionamento del sistema. Sarebbe come dire che tutto ciò che serve per essere un buon cittadino sia non essere un delinquente, e che quindi l'unica struttura veramente necessaria a una nazione sia il sistema della giustizia penale. La giustizia penale va benissimo, ma non ci si può limitare ad essa.

Nè, per far funzionare bene un sistema universitario, mi sembra una buona idea ricorrere ai vari "factor" dei quali tanto si parla. Lasciando stare che un collega di Dipartimento suggeriva recentemetne di tener conto anche del "fattore C", rimane che affidarsi all'IF e simili non ha molto senso, per molte ragioni che spero siano ovvie (e che posso spiegare se non lo sono).

Né il semplice ricorso a "esperti stranieri" sarebbe una buona idea; ad esempio perché l'esperto straniero, pagato con le cifre, i modi e i tempi dello Stato italiano, non si sognerebbe neppure di muoversi da casa; poi perché la cosa diventerebbe semplicemente un guicciardiniano inseguire, da parte di ciascuna cordata, il proprio "esperto straniero" di riferimento. E per altre ragioni che di nuovo credo siano ovvie

Il punto vero è di passare a un sistema basato sulla semantica. Come nella proposta iniziale di Claudio: assumi chi ti pare e pagane le conseguenze. Aggiungerei forse, come in altre nazioni, l'ipotesi di una idoneità nazionale. Da lì in poi, tutto ciò che conta è la valutazione a posteriori, non diversamente da come fa qualunque organizzazione.

La Fiat, dico per dire (e non lo dico perché lavoro a Torino :) assume chi vuole e ne paga la conseguenze. Se la moglie di Marchionne vale, la può benissimo assumere (e d'altra parte è ben possibile che la moglie di Marchionne sia in Fiat non perché Marchionne ce l'ha portata ma perché un Marchionne scapolo, lavorando in Fiat, ha conosciuto una collega e se l'è sposata; o che vogliamo fare, vietare i matrimoni tra colleghi?). E non è affatto ovvio che un dipendente di categoria X non possa passare alla categoria X+1 dentro la Fiat e debba per forza andarsene a lavorare alla Renault per aspirare alla carriera.

(Disclaimer: non conosco Marchionne e non so cosa penserebbe di questo post; non sono sposato né con una collega né con altri; e ho girato tre università del Nord Italia prima di stabilizzarmi nella quarta.)

UC

cari amici, come ben sapete la ricerca è fatta anche di studio, cosi pure la politica. Parliamo spesso di Università americane, molti di noi sono stati visiting professors ma non so quanti le abbiano viste dall'interno o svolto politica accademica.

Io propongo, invece di analizzare il sistema Americano in toto, di studiarci un sottosistema pubblico che è la Università della California. La California è approssimativamente paragonabile con l'Italia.

Troverete un luogo www.ucop.edu con moltissime informazioni. In sintesi

Today, the UC system includes more than 220,000 students and more than 170,000 faculty and staff, with more than 1.5 million alumni living and working around the world.
Il bilancio se ho ben capito, ma dovrei studiarlo meglio, è di 5 Miliardi di dollari circa di cui 3 di fondi statali.
Puo` essere un inizio di confronto. Questa realtà potrebbe essere anche confrontabile con l'Università di Roma. Si scoprirebero probabilmente molte cose interessanti da un tale confronto.

Molto stimolante!!! Cliccate per vedere

Vi invito a meditare su una lettera di Rizzolatti, che a mio avviso coglie un punto centrale, uno dei tanti in cui ci comportiamo da corporazione poco virtuosa. Condivido interamente la sua analisi e credo che se non prendiamo posizione su questo ed anche alcuni dei punti sollevati da Pedrini (vedi in basso) tanto vale che smettiamo. Tutti sono buoni a dire dateci di più. Ho messo un sondaggio!!



But there’s also the Upton Sinclair theorem:

It is difficult to get a man to understand something, when his salary depends upon his not understanding it.

mercoledì 3 dicembre 2008

Ricercatori

Il ruolo dei ricercatori è stato un compromesso nefasto. Meglio tre fasce di docenza. Oppure due fasce ed una di post-dottorato con un eventuale sistema di tenure track. In Italia uno dei problemi maggiori consiste nel gestire le posizioni temporanee in modo corretto. Purtroppo la logica prevalente è: posizioni mal pagate, sfruttamento e far balenare la speranza del posto fisso. Questa è la genesi della categoria, intraducibile in quasi tutte le lingue, dei precari. Spezzare questa logica è prima di tutto un fatto culturale, poi anche legislativo.

Ceterum censeo Cartago delenda est



Le facoltà vanno abolite, andavano abolite dal 1980 e l'istituzione dei Dipartimenti. Ma quella che va ripensata è la stessa idea di democrazia universitaria.

La democrazia universitaria è stata una trappola ben congegnata, creata da noi stessi e senza accorgercene, in cui è caduta la mia generazione. Infatti chi può essere contro la democrazia?
La democrazia universitaria è stato un metodo scientifico, di cui si sono impadroniti rapidamente baroni veri e demagoghi, con cui si è separata e selezionata la classe dei politici accademici di professione, la cui massima espressione sono i Rettori a vita.


Un giovane docente inizia a partecipare ad un consiglio di facoltà per dovere istituzionale, curiosità e pensando di poter dare un contributo. In breve si accorge che il 90% delle cose discusse non hanno il minimo interesse generale mentre il 10% rimanente è stato deliberato in commissioni apposite ed è quasi impossibile modificarlo in aula.
A questo punto scatta la selezione, se il suo interesse è sopra tutto la ricerca e l'insegnamento assisterà con sempre minore interesse alle sedute, inizierà a mandare giustificazioni fino (come nel mio caso) a non metterci più piede. L'alternativa è di entrare nelle commissioni, correndo il rischio di ritrovarsi in breve risucchiato nel meccanismo perverso della politica accademica. Naturalmente ci sono alcuni stoici idealisti che cercano di cambiare il sistema dall'interno, qualche volta hanno dei piccoli risultati qualcuno riesce anche a diventare Rettore. Lo schema si ripete in modo analogo per gli altri consigli: di dipartimento e di corsi di laurea con una importante variante. Poiché il potere accademico in un dipartimento (almeno nel mio) è minimo, rapidamente il consiglio si svuota, rischia continuamente di non avere il numero legale ed infine la ricerca di un Direttore di Dipartimento si trasforma nel gioco dell' "omo nero". Rompere questa spirale richiede una grande dote di buona volontà.
È quindi necessario, oltre all'abolizione delle facoltà, ripensare alla intera struttura separando quei pochi momenti in cui una assemblea di tipo democratico si esprime su questioni importanti di interesse comune e la gestione ordinaria delle istituzioni.

claudio procesi

Mailing list aperta


Abbiamo verificato che con il blog non si sblocca la discussione e quindi,

martedì 2 dicembre 2008

lettera di Marinucci


Vi segnalo una lettera inviata ad alcuni giornali da Domenico Marinucci Direttore del Dipartimento di Matematica dell’Università di Roma Tor Vergata:
Lettera

Da Claudio Pedrini

Poiché condivido la tua affermazione "perché le discussioni devono ad un certo punto convergere in qualche cosa di concreto."

provo a indicare un modo per focalizzare le questioni, a mio avviso piu urgenti da affrontare in questa fase. La discussione avviatasi con la tua utile iniziativa è senz'altro interessante, ma rischia obiettivamente di risultare assai dispersiva e quindi di non sortire alcun effetto concreto. Del resto tutto l'interesse e la mobilitazione del mondo universitario, finora piuttosto amorfo, pur in una situazione di crescente degrado dell'Università, è nata a seguito delle misure del governo di taglio dei fondi.
è dunque da li che occorre partire per individuare le questioni principali. D'altra parte anche la possibilità , che ricorre in tutti i commenti, di distinguere tra università "virtuose" e "cattive " si scontra con una realtà drammatica e cioè l'incidenza abnorme (e sempre crescente) delle spese per stipendi di personale di ruolo ( e quindi non comprimibili) sui bilanci degli Atenei. In passato, piu precisamente durante il precedente governo Berlusconi, i ministri Moratti e Tremonti avevano proposto alla CRUI un meccanismo che avrebbe permesso di scorporare dal FFOO la spesa per il personale di ruolo, riportandola ( come avviene per la scuola) ad una partita fissa del Tesoro, e quindi non dipendente ogni anno dagli stanziamenti della finanziaria, che in tale modo avrebbero riguardato solo i veri "budget" e quindi avrebbero davvero permesso una verifica sulla reale efficienza dei singoli Atenei. Tale ragionevole proposta fu sdegnosamente rifiutata dai rettori...in nome dell'autonomia!
Credo che tale soluzione vada ripresa. A questo punto sarebbe piu facile modificare realmente il decreto sui tagli, che ovviamente non può riguardare la spesa immodificabile per il personale già di ruolo, e quindi ripristinare un meccanismo coerente di incremento degli organici,in particolare dei ricercatori, che invece nella situazione finanziaria determinata dagli attuali tagli, appare assai problematico. Credo infatti i che prima di discutere l'argomento, certo interessante e appassionante dei meccanismi di reclutamento, sia importante sapere su quali basi realistiche si può ipotizzare un aumento di organico!
Altra questione prioritaria ( e connessa con quella delle risorse) è quella della valutazione. Ma anche in questo caso con realismo: se non si è in grado di valutare le singole persone diventa arduo valutare le strutture! Occorre perciò riprendere, aggiornandola, la valutazione del CIVR e imporre agli Atenei di utilizzarla effettivamente per stabilire incentivi e disincentivi economici per i docenti.
Terza ed ultima questione la "governance". Nulla di quanto viene proposto in termini di una migliore gestione delle risorse finanziare dei singoli Atenei può trovare realizzazione se i CdA sono (unico caso al mondo) formati da rappresentanze corporative (cioè elette per categorie) dei dipendenti!
La soluzione non può essere che quella adottata in tutte le Università europee: la gestione finanziaria (che è evidentemente altra cosa dall'autonomia didattica e scientifica) deve essere controllata e valutata da chi effettivamente eroga i finanziamenti,siano essi pubblici o privati.

Saluti e buon lavoro per il 13!

Claudio Pedrini