venerdì 19 dicembre 2008

Natale con gli studenti

una settimana fa ho saputo della festa di ieri, con studenti e docenti, nel mio Dipartimento..... (clicca sul titolo e leggi)

martedì 16 dicembre 2008

COMPITO PER LE VACANZE


Thursday 18 December 2008
L'università è malata e la ricerca langue - suona continuamente l'allarme - e gli attacchi denigratori, accompagnati da un clima di generale sfiducia nella ricerca, da parte dei mezzi di comunicazione e dell’opinione pubblica non risparmiano colpi.
Negli ultimi cinquanta anni vi è stata un’unica riforma organica dell'Università, quella di Ruberti, che conosceva bene il mondo della ricerca e che l’aveva fatta ai massimi livelli.

La riforma didattica che ha successivamente introdotto i due livelli di laurea si è caratterizzata come un intervento su un aspetto importante ma parziale dell’Università, mentre le varie leggi che si sono sovrapposte negli anni hanno quasi sempre peggiorato la situazione, introducendo idee poco innovative e poco riformatrici, spesso dettate da dilettantismo o da interessi corporativi.
Perché intervenire hic et nunc? Perché solo quando si comincia a toccare il fondo vi sono opportunità per gli spiriti liberi di farsi sentire. Stiamo uscendo dai dipartimenti, dalle biblioteche, dai laboratori per bussare alle porte della Politica e dell’opinione pubblica lanciando un serio segnale d’allarme, con l’auspicio di far capire che la cultura e la scienza sono dei pilastri fondanti di un Paese. Senza il contributo delle teste pensanti, l'Italia non ha futuro, non ha gli strumenti per affrontare le sfide enormi che abbiamo di fronte: il perfect storm dell’economia e della finanza - di cui politici ed economisti non avevano previsto il sopraggiungere - gli enormi problemi della globalizzazione, dei cambiamenti climatici, della crisi energetica.
Il ruolo della scienza e dell’università in un paese sviluppato non è minore di quello della politica o della produzione industriale; scienza ed università dovrebbero essere al di sopra degli schemi di logiche politiche perchè pilastri e motori propulsori della società tutta e del suo futuro. Purtroppo la tradizione italiana si è caratterizzata, e continua a caratterizzarsi, per l’intreccio di stretti rapporti tra piccoli gruppi di potere accademico e potere politico. Oggi crediamo, anzi siamo obbligati a credere, che in tutti gli schieramenti politici, di governo ed opposizione, vi siano persone che comprendano perfettamente questi problemi; è ad essi che offriamo un patto di collaborazione, con l’obiettivo comune e prevalente di non sprecare l'enorme patrimonio di intelligenza che esiste nel nostro paese.
Offriamo questo documento programmatico con delle linee guida per quei cambiamenti dovuti da tempo e che, se introdotti nel secolo scorso, avrebbero prodotto un paese migliore. Questa è solo una prima apertura di un dibattito complesso che ci auguriamo possa coinvolgere molti altri soggetti. Chi fa scienza e cultura, soprattutto stante lo scenario attuale ed imminente, vuole e chiede di partecipare da protagonista.

TRASFORMIAMO L'UNIVERSITÀ!

La nostra idea di Universitas futura è fondata su tre principi:
valutazione, competizione e cooptazione. In dettaglio, il programma si può declinare in dieci linee guida essenziali:

(1) Abolire i concorsi ed i raggruppamenti concorsuali, introducendo eventualmente una idoneità nazionale. Disgiungere le procedure di chiamate esterne da quelle per l'avanzamento di carriera.

(2) Imperniare la struttura universitaria intorno ai Dipartimenti, abolendo le facoltà; processo peraltro favorito dalle tendenze in atto in grandi atenei come La Sapienza di devoluzione verso una struttura federata.

(3) La valutazione deve influire sui fondi di finanziamento ordinario (di Dipartimenti, Laboratori, Dottorati) per almeno il 30 %.

(4) La valutazione deve influire sullo stipendio in modo sensibile, in casi speciali, anche al di sopra del 30 %.

(5) I criteri di valutazione devono dipendere dai macrosettori. Il metodo è fondato sulla peer review da parte di persone esterne e di chiaro livello scientifico, con un sostanziale contributo di colleghi stranieri qualificati. Si potrebbe partire dai raggruppamenti disciplinari nei macro-settori esistenti, abolendo la divisione in settori scientifico-disciplinari, incoraggiando al contempo quegli scambi interdisciplinari che sono il motore dell’evoluzione della Scienza.

Area 01 - Scienze matematiche e informatiche
Area 02 - Scienze fisiche
Area 03 - Scienze chimiche
Area 04 - Scienze della terra
Area 05 - Scienze biologiche
Area 06 - Scienze mediche
Area 07 - Scienze agrarie e veterinarie
Area 08 - Ingegneria civile e Architettura
Area 09 - Ingegneria industriale e dell'informazione
Area 10 - Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche
Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Area 12 - Scienze giuridiche
Area 13 - Scienze economiche e statistiche
Area 14 - Scienze politiche e sociali

(6) Abolire il lavoro universitario precario sottopagato, in qualunque forma.

(7) Trasformare i ricercatori in docenti.

(8) Abolire il valore legale del titolo di studio, così da favorire una reale differenziazione tra strutture universitarie virtuose e non virtuose. Ciò è particolarmente importante per contrastare il fenomeno di quelle università private che non fanno ricerca e che si limitano esclusivamente a rilasciare titoli.

(9) Fare la valutazione in primis per sistemi aggregati (ad esempio, i Dipartimenti), e successivamente fino al livello individuale dei ricercatori e professori.

(10) Favorire in tutti i modi possibili la mobilità, soprattutto nelle fasi iniziali della carriera, introducendo, in modo flessibile, il vincolo che impedisce l’inizio della carriera nella stessa sede universitaria in cui si sono compiuti gli studi di dottorato.
Si possono prospettare varie soluzioni, la base condivisa deve essere la flessibilità: valutare gli impegni reali, didattici, scientifici e amministrativi. Partiamo da alcune possibili innovazioni:

A) I dipartimenti possono offrire contratti diversi con diversi carichi didattici in base alle valutazioni dei docenti e ricercatori.

B) Si può introdurre la possibilità di fare una scelta volontaria e reversibile fra carriera didattica e scientifica per quei colleghi che non hanno interesse nel continuare a fare ricerca e non vogliono perciò essere sottoposti ad una stringente valutazione di tipo scientifico.

C) La ricerca deve essere finanziata con grants individuali, o per progetti specifici. Questi grants permetterebbero, tra le altre cose, anche di ridurre il carico didattico a fronte di una documentata attività di ricerca. I grants dovrebbero essere di durata limitata (tra i due ed i cinque anni) e l'assegnazione dovrebbe essere basata sulla valutazione di un progetto di ricerca e del curriculum da parte di revisori internazionali. I fondi dovrebbero permettere di finanziare almeno il 20% dei docenti. Il vantaggio per chi fa ricerca ad un livello elevato sarebbe di ridurre il carico didattico, mentre chi la fa ad un livello medio-alto potrebbe passare da un regime all'altro più volte nel corso della propria carriera.

Un’ulteriore opzione in entrambi i casi potrebbe essere di selezionare solo un numero limitato di Università di Ricerca lasciando alle altre un ruolo più professionalizzante.

CONCLUSIONI

Vi sono due punti essenziali che, volutamente, non sono affrontati in questo documento, didattica e governance.

Per quanto riguarda i fruitori della didattica - gli studenti - ci pare superfluo ribadire che sono al centro della nostra attività. Siamo reduci da anni di duro lavoro, pur con diversi limiti ed errori, per adeguare i percorsi didattici alle lauree organizzate in due livelli. Occorre continuare a razionalizzare i curricula, in particolare per quanto riguarda gli esami ed il numero chiuso. Il problema più importante sono i servizi, le tasse e le borse di studio o prestiti d'onore. I servizi e le residenze studentesche richiedono ingenti finanziamenti, con il concorso dei comuni, le regioni e le altre amministrazioni. Il discorso delle tasse si lega immediatamente con quello della governance.

La governance è un problema da affrontare perchè l'autonomia come è stata configurata è un disastro. Crea clientele interne alle Università e limitate possibilità di controllo, si somma ad altri difetti strutturali esprimendo in taluni casi rettori di basso profilo. Negli Stati Uniti ci sono i Regents che si occupano di questo e non sono professori universitari. Si pone un vero e proprio problema di separazione di poteri tra amministratori e controllori.

All'interno della governance vi è anche il problema degli incentivi, carriera e remunerazione del personale tecnico e amministrativo. Ciascuno di noi conosce segretarie, amministratori, tecnici bravissimi che spesso svolgono funzioni di gran lunga superiori alla loro qualifica, magari accanto a fannulloni di livello superiore. Anche qui è necessaria una profonda riflessione che elimini le incrostazioni burocratiche di anni di inerzia.

Infine la proliferazione di Università di provincia è responsabilità dei politici e devono essere risolte in sede politica insieme a quei referenti accademici che le hanno favorite.


Per riassumere la piattaforma programmatica di Universitas Futura, si passano in rapida rassegna i tre principi fondamentali.

Valutazione: vuol dire valutare preventivamente progetti, laboratori, dottorati in fase di finanziamento e poi successivamente in fase di rendicontazione. Insomma, controllo dei risultati invece di un groviglio di regole burocratiche inefficaci e dannose. La valutazione, per essere sensata, deve però confrontare le condizioni di partenza nel caso di progetti che richiedano notevoli finanziamenti, altrimenti si favoriscono solo le istituzioni già forti riducendo le opportunità delle altre.

Competizione: vuol dire finanziare solo quei laboratori, dottorati che hanno un profilo di eccellenza senza disperdere in mille rivoli le limitate risorse. Vuol dire utilizzare quelle risorse esistenti che ora sono spesso sprecate. Vuol dire anche premiare i migliori con incentivi economici e permettere alle varie sedi di fare offerte competitive per attrarre i migliori ricercatori e docenti.

Cooptazione: vuol dire togliere tutte le pastoie burocratiche dai meccanismi di reclutamento e progressione di carriera lasciando la piena responsabilità ai dipartimenti o ai laboratori. Disgiungere le funzioni scientifiche da quelle amministrative.

Vi è però una parte che spetta alla politica.
Deve essere detto esplicitamente, e con la responsabilità delle azioni conseguenti, che la ricerca scientifica è un obiettivo prioritario dei governi e del parlamento. Vi è una sola risposta seria a questa domanda, quella di allineare la percentuale del nostro PIL dedicato alla ricerca a quella dei paesi virtuosi. In assenza di questa risposta abbiamo il dovere morale di informare i nostri giovani che la ricerca in Italia non è una priorità e che quindi devono regolarsi di conseguenza nelle loro scelte. Di fatto i giovani migliori lo comprendono fin da subito come dimostra l'alto numero di nostri dottorati che si trasferiscono all'estero a fronte di un numero quasi nullo di ricercatori stranieri che emigrano in Italia.

Walter Lacarbonara e Claudio Procesi
l'edificio crolla.

sabato 13 dicembre 2008

riunione 13 dicembre

cari colleghi, questa mattina ci siamo riuniti a zoologia in un'aula dal notevole aspetto antico. Eravamo poco piu` di una trentina di persone. La discussione e` stata accesa, talvolta confusa e questo non pretende di essere un verbale.

Ho spedito spero a tutti questo piu' un documento simile a quelli qui sotto ma con qualche variante uscita dalla discussione e che dovrebbe ritornarmi fra breve. Poi lo mtto sul blog. Se non lo avete ricevuto scrivetemi.

1. Vannini ci ha informato che sembra che il decreto Gelmini verra` votato definitivamente mercoledi' con la fiducia, pertanto i tempi per un nostro ulteriore intervento non esistono, sembra quindi chiaro che e` meglio impegnarci su una battaglia di piu` lungo periodo. Se qualcuno conosce ulteriori canali tramite cui mandare la prima lettera si attivi, ma io ne ho provati veramente tanti.

2. L'opinione prevalente e` che l'Universita` e` un sistema complesso e vari macrosettori, come Scienze, Ingegneria, Medicina, Legge, Discipline Umanistiche hanno problematiche diverse, quindi modi di valutazioni diversi anche se a mio avviso vi sono delle esigenze di base comuni di proteggere il livello scientifico e culturale in tutte queste discipline. Nonostante 500 e piu` firme non siano una cosa trascurabile, e` necessario aumentare la nostra forza. Come fare?

Riteniamo che l'unita` centrale dell'organizzazione universitaria sono i Dipartimenti e quindi il nostro primo obiettivo e` di raggiungere tutti i dipartimenti d'Italia tramite i direttori. Alcuni colleghi hanno promesso di stilare liste di e-mail, vediamo come procede la cosa, abbiamo bisogno di maggior coinvolgimento delle discipline umanistiche e di altri settori interessati alla scienza in senso lato.
Vogliamo raggiungerli per richiedere adesioni sulla base di due documenti programmatici, che qualificano la nostra iniziativa. Il primo e` la lettera alla Gelmini da cui siamo partiti, il secondo deve uscire in tempi brevissimi da una messa a punto finale del documento, messo nel mio blog, elaborato da me sulla base della discussione fatta nelle ultime settimane. Ve lo ripresento con piccole variazioni che tengono conto della discussione di oggi.

3. L'idea del Forum resta in piedi ma i tempi per ora non sono definiti, sembra necessario, anche per motivi di visibilita` mediatica, di darci una forma associativa con un nome e un logo, come nome propongo "Liberiamo l'Universita`" (da tutto quello che la soffoca) il logo lo dovrebbe fare qualche collega di architettura, spero che se ne occupino i colleghi di Ingegneria che hanno promesso di costruire un sito internet piu` professionale di quelli che abbiamo ora.
L'adesione a questa associazione e` subordinata all'accettazione dei due documenti con cui partiremo (non possiamo ogni volta rimettere in discussione tutto).


4. Molti vorrebbero un colloquio con Gianni Letta ma si discute sul come e quando.

5. Vi sono varie preoccupazioni sull'Universita` pubblica, il Forum potrebbe produrre almeno degli strumenti per monitorare lo sviluppo di alcune iniziative dissennate di pseudo universita` private. Infatti molti di noi quando pensano a universita` privata pensano ad Harvard o al massimo a Bocconi mentre il pericolo italiano potrebbe essere il modello C.E.P.U..

6. Un collega e` estremamente preoccupato per nuove figure di professori a contratto che potrebbero riportare il modello degli incaricati di infausta memoria, qui occorre vigilare. Il mondo scientifico e` molto preoccupato perche' la contrazione dei finanziamenti puo` distruggere completamente tutte le attivita` scientifiche sperimentali. Preoccupano i nomi dei "saggi" della Gelmini, come Cingolani che ha in questo un enorme conflitto di interessi.

Chiaberge

Cari tutti
inserisco su richiesta di Francesco Zucconi links ad una intervista a Chiaberge, ex direttore SNS -Pisa.
Ciao

http://www.radioradicale.it/files/active/0/EGSY0p1.pdf

http://www.radioradicale.it/files/active/0/EGSY0p2.pdf

venerdì 12 dicembre 2008

Trasformiamo l'Università! II

Avendo spiegato la Proposta 1, credo che questa vada integrata nella proposta generale, in quanto senza la divisione fra carriera didattica e scientifica si rischia di penalizzare eccellenti colleghi che per ragioni varie non vogliono o non possono occuparsi di ricerca, mentre danno un prezioso contributo alla didattica e/o all'amministrazione.

giovedì 11 dicembre 2008

Trasformiamo l'Università!

cari amici, molti vorrebbero stringere. Vogliamo provare ad anticipare parte di quello che discuteremo, utilizzando la discussione avvenuta?
Vi propongo un Primo documento con un sondaggio:


TRASFORMIAMO L'UNIVERSITÀ!

Le nostra idea di Università è incardinata su tre principii:
valutazione, competizione, cooptazione.

In dettaglio:

Abolire i concorsi, introducendo invece una previa idoneità nazionale
Abolire il lavoro precario sottopagato
Abolire le facoltà
Abolire il valore legale dei titoli di studio
Trasformare i ricercatori in docenti
La valutazione deve influire sui fondi per almeno il 30%
La valutazione deve influire sullo stipendio per almeno il 30%


Valutazione: vuol dire valutare preventivamente progetti, laboratori, dottorati in fase di finanziamento e poi successivamente in fase di rendiconto.
Insomma controllo dei risultati invece di una ragnatela di regole burocratiche inefficaci e dannose.

Competizione: vuol dire finanziare solo quei laboratori, dottorati che hanno un profilo di eccellenza senza disperdere in mille rivoli le limitate risorse.
Vuol dire anche premiare i migliori con incentivi economici e permettere alle varie sedi di fare offerte competitive per attrarre i migliori ricercatori e docenti.

Cooptazione: vuol dire togliere tutte le pastoie burocratiche dai meccanismi di reclutamento e progressione di carriera lasciando la piena responsabilità ai dipartimenti o ai laboratori. Disgiungere le funzioni scientifiche da quelle amministrative.

Vi è però una parte che SPETTA ALLA POLITICA.

Dobbiamo assolutamente sapere se la ricerca scientifica è un obiettivo prioritario dei governi e del parlamento. Vi è una sola risposta seria a questa domanda, allineare la percentuale del PIL dedicato alla ricerca a quella dei paesi virtuosi.

In assenza di questa risposta abbiamo il dovere morale di informare i nostri giovani che la ricerca in Italia non è una priorità e che quindi si regolino di conseguenza nelle loro scelte.

post scriptum: chiaramente se si toglie uno dei tre pilastri l'edificio crolla.

Mi spiego

Scusate ho messo il post di Stella nel blog sbagliato!

Ormai che l'ho fatto dico qualcosa anch'io.

Penso che il pezzo di Stella ci serva per capire che bisogna fare una proposta molto netta e chiara.
A costo di essere un po' grezzi.
Questo perchè il clima è pesantissimo e oramai siamo sostanzialmente sputtanati agli occhi della pubblica opinione.

In questo momento in cui milioni di persone vivono un Natale di incertezza, non sapendo se torneranno a lavorare, dobbiamo far capire che siamo disposti a fare la nostra parte. Tutti.
Il governo ci ignora parlando solo con Giavazzi o chi per esso.

Facciamo quindi delle proposte dirompenti e comprensibili che sorpassino il governo con un movimento laterale. Se no io penso che il grande sforzo che si sta cercando di fare finisca per non "bucare" e sappia un po' valzer delle candele sul titanic.


Io ne avrei una:
si convochino consigli di facoltà straordinari per effettuare una valutazione straordinaria dell'attività didattico- scientifica dei docenti- ricercatori.

Si pubblichino i risultati con

numero di pubblicazioni
ore di lezione
studenti "processati"
attività organizzative
attività di pubblica utilità ( panelist, referee...)
etc.

chi risulta sotto una media normalizzata si vedrà tolti i fondi di ateneo e il vecchio 60%.


Che ne dite?

Francesco Vaccarino

G.A: Stella Corriere della Sera

L'Italia degli «atenei inutili»
In 33 nemmeno una matricola

Il caso limite di Celano, sui monti della Marsica: un corso di ingegneria agroindustriale con 7 prof per 17 ragazzi

Zero, zero, zero, zero, zero... È tutta lì, la fotografia della follia dell'Università italiana. Nella ripetizione per 33 volte, nella casella «immatricolati» di altrettanti «atenei» distaccati, del numero «0». Neppure un nuovo iscritto. Manco uno. Prova provata che la decisione megalomane e cocciuta di volere a tutti i costi almeno un corso di laurea sotto il campanile era totalmente sballata. Il dato, che conferma le denunce più allarmate, è contenuto nel Rapporto annuale 2008 sul nostro sistema universitario.
Il rapporto (i cui dati sono del 2007, qua e là aggiornati fino alla primavera scorsa) viene presentato oggi da Mariastella Gelmini. E possiamo scommettere che accenderà un dibattito infuocato. Perché delle due l'una: o queste cifre sono corrette (e se è così in molti casi serve un lanciafiamme) o lo sono solo in parte. E in questo caso il quadro sarebbe paradossalmente ancora più grave. Ogni numero del documento, infatti, risulta ufficialmente fornito alla banca dati del Miur dagli stessi atenei. Il rapporto, si capisce, offre una carrellata su un sacco di cose. Dice che gli studenti stranieri sono al massimo il 7,1% (a Trieste) e si inabissano allo 0,1 a Messina. Riconosce che la spesa media per ogni giovane iscritto negli atenei statali è di 8.032 euro contro i 15.028 che vengono spesi in Austria o i 23.137 in Svizzera. Spiega che siamo «al terzo posto al mondo, e addirittura al primo in Europa, per accessibilità, cioè per il numero di università (e relativi studenti) che si trovano tra le prime 500 università», ma che al contrario scivoliamo al 30˚ «per Flagship, ovvero per la qualità delle primissime università». Denuncia che le spese per il personale sono passate dal 2001 al 2006 da 5 miliardi e 764 milioni di euro a quasi 8 miliardi. Annota che l'età media dei docenti si è inesorabilmente alzata ancora.

LE CLASSIFICHE Riporta le classifiche mondiali elaborate dalla Quacquarelli Symonds, secondo le quali abbiamo solamente 10 università nelle prime 200 d'Europa (contro 47 del Regno Unito, 37 della Germania, 19 della Francia o 12 dell'Olanda, che ha un quarto dei nostri abitanti) e per di più queste, ad eccezione del Politecnico di Milano, di Padova e della Federico II di Napoli, perdono nel 2008 nuove posizioni rispetto alla già scoraggiante hit-parade dell'anno precedente. I numeri più impressionanti, però, sono forse quelli che dimostrano l'assurdità della moltiplicazione di «città universitarie». Cioè di paesotti, borghi e contrade a volte microscopici che hanno fortissimamente voluto qualcosa che potesse definirsi «universitario» come simbolo di riscatto o di promozione sociale alla pari di uno svincolo autostradale o di una circonvallazione. Una mania ridicolizzata dal costituzionalista Augusto Barbera con una battuta irresistibile: «Sogno di trovare all'ingresso dei paesi il cartello "comune de-universitarizzato"».
Un esempio per tutti? Poggiardo, seimila anime tra Maglie e Santa Cesarea Terme, in provincia di Lecce, dove il sindaco Silvio Astore non si è dato pace finché non ha avuto un distaccamento della Lum, Libera università mediterranea: «Il nostro paese è oramai una meravigliosa realtà accademica d'eccellenza e concorre a pieno titolo a un rilancio culturale del tessuto socioeconomico del territorio». Dice dunque il Rapporto annuale del ministero, liquidando questi «napoleonismi» campanilistici, che su 239 «città universitarie» inserite nel «catalogo» (anche se i conti non tornano con altri studi, come quello di Salvatore Casillo, Sabato Aliberti e Vincenzo Moretti, tre docenti salernitani autori mesi fa di un censimento che aveva contato 251 comuni che ospitavano almeno un corso di laurea) molte esistono ormai solo sulla carta. E dopo essere appassite in una manciata di anni, risultano somigliare a certi Enti Inutili che si trascinano dietro pendenze varie che ne ostacolano l'immediata soppressione.

SENZA STUDENTI Numeri ufficiali alla mano, 42 «atenei» hanno meno di cinquanta immatricolati, 20 ne hanno meno di venti (Moncrivello, Bisceglie e Pescopagano 12, Caltagirone e Andria 11, Figline Valdarno 5, Trani uno solo) e trentatré, come dicevamo all'inizio, non hanno più un solo studente che si sia aggiunto agli iscritti precedenti. Iscritti che in rari casi erano abbastanza numerosi (esempio: 480 ad Acireale), ma nella grande maggioranza dei casi erano già talmente pochi da fare impallidire chi si era incaponito sulla voglia di aprire una sede che potesse dirsi «universitaria». Venticinque studenti in totale al corso di «Tecniche erboristiche» a Bivona (dove non ci sono mense né pensionati né postazioni Internet né laboratori né biblioteche), 41 a Sanluri, che coi suoi 8.519 abitanti è il capoluogo della provincia sarda di Medio Campidano, 11 nell'emiliana Varzi, 4 a Corigliano Calabro e nella siciliana Vittoria. E poi un solo sopravvissuto a Spoleto, Città della Pieve, San Casciano in Val di Pesa... Al di là di questo e quel caso singolo, più o meno tragico o ridicolo, è un po' tutto il sistema da riformare. Lo dice, ad esempio, il presidente della Provincia di Agrigento Eugenio D'Orsi. Il quale, in crisi coi conti, ha sparato a zero sul modo in cui è stato costruito il polo universitario agrigentino, legato a quello di Palermo, dicendo che è del tutto «superfluo avere ben 17 corsi di laurea uno dei quali addirittura con un solo studente». Tanto più che un docente portato a insegnare nella valle dei Templi costa quasi il triplo più che nella città di santa Rosalia.

«MODELLO CELANO» - Al «modello Celano» è stata dedicata qualche settimana fa un'inchiesta del Messaggero. Che si è chiesto che senso avesse mettere su, in un «borgo montano sperduta nel nulla » con le aule affacciate sui monti della Marsica, un corso di laurea in Ingegneria Agro-Industriale. Corso partito quest'anno con 17 matricole e 7 professori. Uno ogni due studenti. Il tutto finanziato («Noi non ci rimettiamo un euro», ci tiene a spiegare il rettore dell'Università dell'Aquila Ferdinando di Orio) da un Consorzio voluto dal Comune, banche e alcune aziende locali. Il record però, probabilmente, è di Sorgono, un paese sardo che coi suoi 1.949 abitanti è meno popolato di certi palazzoni popolari nelle periferie delle metropoli. Senza una facoltà proprio non riusciva a stare. Adesso c'è un corso di laurea in Informatica. Se dovesse non essere sufficiente (nessun immatricolato nuovo, ma i vecchi iscritti sono 38: wow!), il panorama nazionale è in grado di suggerire un mucchio di corsi alternativi. Tra le migliaia e migliaia già offerti ai più fantasiosi studenti italiani, almeno alcuni meritano una segnalazione: «Scienze e Tecnologie del Fitness e dei Prodotti della Salute», «Scienze del Fiore e del Verde», «Etologia degli Animali d'Affezione»...

Gian Antonio Stella

martedì 9 dicembre 2008

obbiettivi a breve termine

A parte i desideri di fuga, dobbiamo ricordare che il compito che ci siamo posti davanti non é descrivere la futura università in tutti i dettagli né stendere una riforma universitaria chiavi in mano. Credo che dobbiamo concentrarci su dei principi ben individuati e circoscritti, e lasciare al legislatore il compito di tradurre in pratica le cose (sempre ammesso che ...). Se siamo contrari ai concorsi e puntiamo nel rovesciare il meccanismo, puntando alla cooptazione, é importante dire che la cosa deve essere intimamente legata alla valutazione (sia nei riguardi del reclutato che dell'ente reclutante). Come realizzarlo, quando, come passare da un sistena all'altro, la definizione dell'esatto quadro normativo necessario, la possibilità che i singoli atenei si organizzino o no come piace a loro, tutto questo dovrebbe essere compito di chi dovrà poi stendere la legge punto per punto. Vogliamo davvero, da qui a 1-2, mesi arrivare a tanto ?
preferirei un anno sabbatico in un mangrovieto kenyano. Avrei bisogno con me di un fisico, più che di un matematico, e di un fisiologo. Credo che con un paio di giri di mail il problema si possa però risolvere.

TRASFERIAMOCI IN CINA cliccate!

Ho appena visto questo sunto da Report e mi sono convinto a prendere un posto di assistant professor all'Università di HOHHOT nella Mongolia inferiore. Vi manderò un e-mail con il mio i-phone dal dorso di un cammello. Nihao!

Claudio Procesi

Ricerca, didattica e valutazione dei docenti

Ho anche io delle considerazioni da fare, da vecchio, alla fine della carriera universitaria, quindi fuori da “necessità personali”.
I messaggi sono concentrati sulla valutazione della attività scientifica: l’impact factor è il parametro che discrimina i buoni dai cattivi e nella maggior parte dei casi è visto come unico criterio per valutare la “bravura” di un candidato.
Sono d’accordo che debba essere tenuto in considerazione, ma accanto a questo devono esserci altri criteri per la valutazione del “valore universitario” dell’individuo.
Infatti l’Università è la sede della didattica e della ricerca. Entrambe le cose, non una sola.
Conosco colleghi valenti Ricercatori, ma che non riescono a farsi comprendere nelle loro lezioni e al momento dell’esame promuovono tutti, senza criticità. Altri colleghi hanno grosse capacità di gestione e sono altrettanto validi nell’organizzazione e nel funzionamento degli organi Accademici ai vari livelli. Parte del loro tempo è dedicato alla gestione e, se fatta bene, per l’università e per gli studenti, se ne deve tenere conto come criterio di merito.
Vedo il rischio che la rincorsa alle pubblicazioni indicizzate allontani i ricercatori dal fare lezione, per dedicarsi esclusivamente alla loro carriera futura. I professori che fanno lezione a 100-200 studenti, con i relativi esami cercheranno, come già avviene, di insegnare con maggiore soddisfazione, nei corsi meno frequentati. Saranno “costretti” a fare i corsi dei primi anni?
Quindi limitare il reclutamento all’IF mi sembra limitativo, con il rischio di aver la media (massa) degli studenti con una preparazione modesta salvo le eccellenze che ci saranno sempre, indipendentemente dal docente e dalla sede.
I finanziamenti, chi li deve dare? Possiamo basare le nostre sofisticate ricerche sui fondi raccolti con le giornate televisive o con la vendita di azalee, arance etc… in piazza?
Penso che la situazione sia molto più grave: per esigere bisogna dare! ..... e noi siamo dei “fannulloni”. Non mi sento e non mi sono mai sentito tale, anche se devo riconoscere che ci sono molti colleghi che hanno nell’Università un impegno veramente modesto.
Dobbiamo partecipare alle varie attività accademiche su un livello ottimale per un buon funzionamento dell’Università e, quindi, per gli studenti e per la comunità tutta. Poi ci saranno le eccellenze, ma limitare tutto all’IF mi vede contrario, anche perché è un modo per farci sentire in colpa e per farci criticare, anche quando siamo convinti di avere svolto il nostro dovere con risultati apprezzabili. Commissioni per la valutazione dell’attività scientifica ed anche per la didattica sono disponibili, anche se è stato conferito loro un impatto molto limitato.
Il criterio unico, oggettivo, per valutare la bravura di una persona non esiste, ma esistono i criteri, e li conosciamo tutti, per discriminare tra l’universitario bravo e quello che non è giusto che stia nell’università al posto di uno più capace.
Le nostre proposte per i criteri di selezione devono essere formali o quanto più obiettive possibile? L’Università l’abbiamo in parte gestita noi, l’aspetto formale ci protegge dalle critiche, ma l’Università deve essere un continuo progresso di idee, di libertà intellettuale etc… A quanti concorsi abbiamo partecipato in cui non abbiamo avuto il coraggio di andare contro l’amico? Siamo convinti di aver fatto sempre il nostro dovere di uomini liberi? Personalmente ho dei dubbi, anche su me stesso.
Una soluzione per avere alti IF potrebbe essere la separazione delle carriere: alcuni dedicati alla didattica, altri alla ricerca, ben finanziata. Ma i soldi non ci sono e quei pochi vanno a “Centri di Eccellenza” rendendo impossibile la ricerca “artigianale”, che in passato ha permesso la costituzione dei centri e che dovrebbe permettere il loro rinnovamento.
A mio avviso le criticità sono, in ordine, la mancanza di fondi, l’inesistente ingresso di nuovi ricercatori, il nostro fisiologico, sclerotizzante invecchiamento e soprattutto la carenza di idee innovative e la tendenza alla consorteria.
Essendo a fine carriera non ho interessi personali e mi spiace per i miei allievi se non sono stato un buon capo, in quanto ho confidato sulle loro capacità e non sugli aiuti che potevano venire da “amici”. Ho cercato, però, di infondere loro il senso dell’onestà, della serietà nell’impegno universitario ed ho la soddisfazione che alcuni hanno risposto.

Aldo Becciolini, Radiobiologia, UNIFI

CERCHIAMO DI CAPIRCI!

La discussione va avanti, un po' disordinata, ma un concetto essenziale, al di là di tutti i dettagli, stenta ancora ad imporsi.

Quello che è necessario è far emergere quella classe dirigente scientifica, sana, competente ed aperta che esiste in Italia ma che è bloccata da infinite trappole burocratiche, veti politici e sindacali etc..
È assurdo pensare di metterci per alcuni anni sotto la tutela di colleghi stranieri, le persone eccellenti già le abbiamo, o affidarci alla sorte oppure inventare altri marchingegni formali che dovrebbero garantire per forza comportamenti virtuosi.

L'unica cosa che impedisce comportamenti poco virtuosi ad uno scienziato di fama internazionale, oltre ovviamente alla sua coscienza, è il rischio di perdere la faccia nella propria comunità ovvero la propria credibilità. Per questo il confronto deve essere allargato fuori dei settori disciplinari, perché un singolo settore può decadere ma l'intera comunità scientifica ed accademica ha maggiori anticorpi. Quando vari colleghi protestano vivamente per l'immagine dell'università che viene spacciata dai media, non fanno altro che cercare di mostrare che una possibile classe dirigente sana esiste. Se la politica non fa la sua parte, o la fa male, questa classe dirigente non ha gli strumenti per emergere da sola, se non come avviene ora, in modo limitato, con il rischio continuo che una perenne frustrazione porta gli elementi migliori a ritrarsi nella propria ricerca e disinteressarsi del bene comune. Prima capiamo questo e smettiamo di fustigarci meglio è.

domenica 7 dicembre 2008

INCOMPATIBILITA DI SEDE

tra le tante proposte di cambiamenti e innovazioni che sono in circolazione, mi pare manchi una proposta che reputo di importanza cruciale (anche per esperienza personale) per una brusca sterzata: bisogna sostenere con forza una norma che prescriva la chiamata di un idoneo ad associato o ordinario in un’ università che NON sia la stessa dove l’idoneo è inquadrato! Se questa norma fosse stata mantenuta nella versione pubblicata del decreto Berlinguer sull’autonomia (l’abbiamo tutti letta nella bozza definitiva del decreto e poi chissà perché scomparve sulla Gazzetta!) sarebbero avvenuti molti ma molti meno pastrocchi concorsuali (oliati anche dalle tre/due idoneità locali) e il tetto del 90% dell’FFO sarebbe stato sforato o avvicinato da molti meno atenei. (Pensa anche al reshuffling di idee e esperienze che può promuovere qs norma sia a livello di persone sia di ambienti!) Un cordialissimo saluto.
Piero Luporini - Università di Camerino

SCONVOLGENTE

Leggo solo oggi di 15 ricercatori morti nel laboratorio dei veleni a Farmacia nell'Università di Catania, altri gravemente malati; anche se la notizia fosse gonfiata è comunque sconvolgente. La magistratura sta accertando i fatti. Possiamo tacere? Come professori ed accademici è nostro dovere garantire che i nostri laboratori, TUTTI anche i più scalcinati e sottofinanziati, siano luoghi di avviamento alla vita e non alla morte.

Se alcune autorità accademiche avessero sottovalutato o peggio nascosto i fatti saremmo ben oltre la ordinaria corruzione e incompetenza ma entreremmo nel mondo della mostruosità, il mondo di Mengele e Mugabe. Cosa fare? Chiedo aiuto ai colleghi che hanno esperienze di laboratorio per idee e proposte, nel mio mondo le peggio nefandezze possono al più causare un esaurimento nervoso, forse un suicidio. Forse una commissione tecnico-scientifica che visiti i nostri laboratori, parli con i ricercatori?

Non credo che possiamo demandare il tutto alla politica o alla magistratura.

dottorati ed università di serie A e B

Non mi piace l'idea di distinguere formalmente università di serie A/B nè docenti di serie A/B. Un'Ateneo é un insieme composito, si può solo classificare in relazione al numeor di studenti. Sono le Unità Operative (UO) che si possono classificare : dipartimenti e singoli docenti. Qualora finanziamenti, fondi per borse dottorato, cofinanziamenti per PRIN ed assegni, andassero alle UO più produttive lo scaglionamento avverrebbe automaticamente. Il dottorato non si fa negli atenei ma nei dipartimenti singoli o consorziati. le mega-scuole di dottorato sono delle truffe ideologiche (ed a volte pratiche). Solo i dipartimenti (o i consorzi) i cui docenti mostrassero di avere un CV adeguato dovrebbero essere abilitati a gestire dottorati, in un sistema fluido, mutevole di anno in anno, senza steccati rigidi. D'altro canto, in un Ateneo mediamente pessimo, categoria C - - , perché negare alla singola scuola di Parapsicologia virtuale, di fama internazionale, di farsi il suo bravo dottorato ?

sabato 6 dicembre 2008

precari e bastonati

Una mia allieva, assegnista da anni, non ha vinto una Marie Curie per una frazione di punto. Nel suo CV ha ottenuto 4.5 invece di 5.0 perché nonostante avesse partecipato a numerosi progetti nazionali ed internazionali, non ne aveva mai coordinato nemmeno uno. In realtà ne aveva coordinati almento tre ma l'Università di Firenze non concede agli assegnisti di coordinare progetti. Qualcuno mi ha detto che in altre università italiane la cosa é possibile. E' vero ?
Grazie

AMMINISTRAZIONE-VISCO

GIUSTAMENTE parliamo di cose che conosciamo, ma ci sono enormi problemi di struttura che non possiamo ignorare, anche se ci limiteremo a cercare di capire le opinioni di altri, leggete con cura il testo di
Vincenzo Visco.

documento in difesa dell'Universita' dalla U. Statale di Milano

Segnalo che e' disponibile in rete un documento elaborato all'Universita' Statale di Milano, Economia del lavoro, in difesa dell'Universita' italiana. Si tratta di un lavoro coordinato da Marino Regini, annunciato giorni fa da un articolo sul Corriere della Sera. E' interessante il confronto di alcuni numeri concreti dell'universita' italiana con quelli di universita' straniere, che smonta parte delle polemiche piu' demagogiche e meno competenti sull'universita' italiana. Questo non siginifica - a mio parere personale - che l'universita' italiana non abbia ugualmente bisogno di profonde riforme.

Approfitto per includere qualche altro collegamento utile:

R. Perotti, Lo splendido isolamento dell'università italiana
E' un lavoro del 2004, quindi precedente all' Universita' truccata. Parte dal lavoro di King (The scientific impact of nations, 2004), e fa un confronto approfondito tra universita' italiana e inglese.

Rapporto OECD Education at a Glance 2008

Precari, lavoro gratuito e concorsi

Cari tutti, come mi è stato richiesto, pubblico di seguito i messaggi che sono girati via mail riguardo alla situazione dei precari che lavorano quasi gratis.

On Dec 6, 2008, at 11:07 AM, Marina wrote:
Gentile Enrico, i giovani lavorano gratis o quasi, perché questo è l'unico modo per entrare in università, almeno all'inizio (mi riferisco alle Facoltà umanistiche e non conosco le situazioni di altri settori). Il che non comporta che siano mantenuti, ma che abbiano un doppio o triplo lavoro!L'assegno di ricerca, di cui sono attualmente titolare dopo sei anni di contrattini con retribuzione irrisoria, mi apporta 1300 euro netti al mese, a cambio dei quali devo: fare didattica, seguire tesi, ricevere, partecipare alle riunioni, fare ricerca, scrivere libri miei e non solo (senza fondi per pubblicarli), pagandomi da sola viaggi, testi rari, antichi e introvabili, oltre a spese di ogni genere per la ricerca. Se al netto togliessi le spese per inchiostro, carta, acquisto testi e viaggio (che i docenti coprono con i fondi), mi rimarrebbero all'incirca 700 euro al mese. Per sopravvivere bisogna lavorare in più università e integrare con le scuole! Faccio ricerca la notte e didattica di giorno.
Ma se voglio rimanere in ambito accademico è così, come mi hanno ribadito entrambe le sedi con cui collaboro (contratti co.co.co o occasionali, dipende non si capisce bene da cosa).

Gentili tutti, al fine di risolvere la situazione esposta sopra, aggiungo la mia PROPOSTA:
-Ripristiamo la figura dell'assistente assunto, per favore! Almeno ci sarebbero i contributi pagati e uno stipendio! Includiamo i giovani precari nella distribuzione dei fondi, sottoponendoli a valutazione periodica (lo stesso per i docenti), certo.
-Stabiliamo un minimo stipendiale, fissando un limite di ore di didattica ricomprese in quella cifra e stabilendo a priori quali compiti rientrino.
-Infine, ristabiliamo anche quali sono i compiti delle segreteria e del personale tecnico amministrativo, in modo da restituirli a loro, sgravando i giovani precari di compiti che non dovrebbero certo toccare a loro!

Date: Fri, 5 Dec 2008 10:54:06 -0600 (CST)From: Enrico
Concordo con Mirella,ma sono piu' radicale: i giovani devono piantarla di lavorare gratis! Se lavorano gratis, rovinano il mercato a chi non puo' permettersi di fare altrettanto.Non ne posso piu' di questi precari per scelta che prima decidono di lavorare gratis (chi li mantiene?) nella speranza che qualcuno regali loro un posto e poi protestano contro un precariato che loro stessi hanno scelto e favorito.Uno puo' pure decidere di lavorare gratis per "amore della scienza" o semplicemente per "andare in paradiso": ma nel qual caso non puo' chiedere a viva voce che si tarocchi un concorso per farlo vincere per forza...Scusate se son troppo diretto.Bye,E.

Date: Sat, 06 Dec 2008 02:49:19 +0100 From: Gennaro
Cari colleghi,il dibattito che si sta sviluppando sullo 'status' dei precari della ricerca è interessante e merita, a mio parere, una considerazione molto più approfondita.Purtroppo 18600 Euro annui, quando ci sono, sono pochi anche in luoghi diversi da Milano (per esemppio qui ad Udine), ma lo scandalo più macroscopico è che molto spesso i precari lavorano per somme ben più irrisorie, se non gratis,al limite. Questo dovrebbe essere del tutto bandito dall'Università e da qualsiasi ambiente di ricerca pubblico.Un importante elemento per evitare situazioni al di sotto della decenza, se non al limite dello schiavismo, dovrebbe essere la deontologia professionale di chi ha responsabilità di conduzione scientifica e manageriale dei gruppi di ricerca. Tuttavia, poiché appellarsi alla coscienza deontologica non funziona (è un'amara postdizione), credo che occorra creare obblighi di legge ben precisi per evitare abusi che, oltre ad essere lesivi della dignità professionale del lavoro intellettuale, spianano la strada al malcostume ed al servilismo.Avevo sottoposto alla considerazione di tutti nel blog antesignano di questo forum due proposte ed un criterio, e mi pare il caso di ripresentarli dato che non li ho più visti in giro. Una di queste proposte concerne proprio la regolamentazione dello status dei precari, per riconoscere, per legge, una validità ai fini pensionistici del lavoro svolto, oltre al riconoscimento in termini di copertura socio-sanitaria. Con qualche ulteriore aggiunta e precisazione, riformulo le proposte, che sono delle ricette operative urgenti per aumentare gli stanziamenti alla ricerca pubblica, ed il criterio, che è una linea guida generale per la salvaguardia del 'buoncostume' professionale dei ricercatori.Sulla necessità di aumentare l'entità dello stanziamento pubblico alla ricerca, penso non vi sia bisogno di commentare, la riconoscono anche le pietre.Idem sulla necessità di adottare misure di controllo della qualità scientifica degli universitari.
PROPOSTE
A) Contributi previdenziali versati dallo Stato per i giovani ricercatori che lavorano nell'Università e negli enti pubblici di ricerca come precari con borse postdottorato di ogni genere.L'Italia è l'unico paese della UE dove è possibile assumere giovani ricercatori sottopagandoli e senza alcuna tutela socio-previdenziale, o al limite a retribuzione nulla, senza incorrere nelle sanzioni di una disciplina vigente in materia. Lo stato di precarietà lavorativa nella ricerca è diffuso in tutto il mondo, è una delle modalità tipiche dell'acesso alla ricerca che precede la stabilizzazione, ma che può durare anche a lungo senza necessariamente risolversi con esito positivo. Perché solo in Italia chi è precario della ricerca deve anche vedere vanificati i migliori anni della sua produttività intellettuale ai fini della sua carriera contributiva previdenziale?A più riprese, governi di diverso colore politico hanno varato schemi legislativi per alleviare l'industria dal 'gravame' della contribuzione sociale per i neoassunti, anche con forme di contratto a termine.Un provvedimento del genere non è stato mai adottato per i precari della ricerca universitaria.La richiesta è che divenga prassi ordinaria ed istituzionale il versamento da parte dello Stato dei contributi socio-previdenziali e pensionistici ai giovani ricercatori precari di università ed enti pubblici di ricerca.Quindi ciascun contratto che viene stipulato, per conto di un gruppo di ricerca, da un dipartimento o da una facoltà universitaria o da qualsiasi altra amministrazione di enti di ricerca pubblica, dovrà essere integrato dallo Stato con la quota corrispondente per i versamenti assicutarivi sanitari, antiinfortunistici e pensionistici.Ciò costituisce un incremento concreto di stanziamenti per la ricerca.
B) Esenzione IVA della ricerca pubblica - comporterebbe l'aumento netto del 20% per i fondi a disposizione per acquisti di ogni genere di beni e prestazioni finalizzate alla ricerca. L'Italia è uno dei pochi paesi leader europei in cui si paga ancora l'IVA sulla ricerca.Attualmente in Italia l'unica esenzione IVA a beneficio della ricerca si ottiene solo se si dispone di fondi UE, comunque per acquisti non inferiori a 500 Euro.L'esenzione IVA per la ricerca dovrebbe rigidamente escludere la ricerca industriale che già riceve sovvenzioni oltre il dovuto in Italia, poiché è prassi tristemente consolidata, da parte dell'industria, presentare come ricerca attività ordinarie, per beneficiare di sgravi fiscali (regalare all'industria anche l'IVA sarebbe il colmo).
CRITERIO
Premesso che una riforma universitaria che possa bonificare l'ambiente dai guasti che si sono determinati in questi anni per la mancanza di criteri meritocratici reali e non solo di facciata, è realizzabile in molti modi (la cooptazione essendo la forma più estrema ma intellettualmente onesta), un criterio fondamentale da implementare se non si vuole vanificare l'impostazione meritocratica di un riassetto dell'università e quello della verifica successiva alla chiamata di professori e ricercatori.Dovrebbe essere istituzionalizzata una verifica biennale, basata su criteri diproduttività scientifica rigidi dell'attività di professori e ricercatori chiamati da qualsiasi facoltà.Qualora la verifica fosse negativa, la facoltà perderebbe l'equivalente di metà del budget destinato alla posizione di professore o ricercatore sottoposta a procedura di controllo biennale.Una seconda verifica negativa consecutiva comporterebbe un'ulteriore dimezzamento del budget sulla posizione verificata. Una terza verifica negativa consecutiva comporterebbe l'inquadramento del docente o ricercatore in altra amministrazione pubblica.Una verifica positiva comporterebbe il ripristino del budget nella misura di quanto perso al precedente controllo biennale.Una verifica potrebbe tuttavia essere anche più che positiva. In tal caso la facoltà guadagnerebbe un quarto del budget della posizione verificata.La contabilità amministrativa della compensazione economica del meccanismo sarebbe effettuata dai singoli atenei, con rientri o aggravi ulteriori a favore o a carico dei fondi oridinari di funzionamento.Un saluto a tuttiRino

On Fri, 5 Dec 2008, Mirella wrote:
Con questo messaggio vorrei soltanto esprimere il mio sconcerto per un aspetto che compare in modo ricorrente nei messaggi che ho ricevuto: viene considerato normale, seppure non auspicabile, il fatto che giovani vengano impiegati nel lavoro di ricerca senza alcuna retribuzione. Nel dipartimento in cui opero (ma penso sia così in genere nella Facoltà di Scienze dell?Università di Milano) un comportamento del genere non esiste! Nessuno lavora gratis: i giovani (dottorandi o post-doc) vengono pagati sui fondi di ricerca del gruppo in cui operano, con borse di studio (se hanno meno di 29 anni), con COCOCO o con assegni di ricerca. Questi non costituiscono certo una retribuzione favolosa, ma 18600 euro all?anno non possono essere considerati un?elemosina, soprattutto quando si vive in una città diversa da Milano, dove questa retribuzione è molto modesta, considerando che qui il costo della vita è alto.In conclusione, considero il comportamento sopra menzionato gravemente scorretto e ribadisco il mio stupore nel vedere che per molti colleghi esso venga invece considerato normale.

Date: 04/12/2008, Marina wrote:
Cari tutti,ciò che scriverò a continuazione riguarda la mia personale e sperienza e quella di numerosi altri giovani come me.
Innanzitutto vorrei dire a chi forma i proprio studenti più brillanti in vista di un futuro concorsi che la lunga trafila di compiti accademici non pagati, caratterizzano gli anni di dottorato e post doc, potrebbero anche servire al candidato per conoslidare la sua formazione e poter così competere anche in caso di valutazioni comparative nazionali e non truccate. Questo non toglie che sia ingiusto e faticoso passare lunghi anni senza retribuzione o con piccole somme da fame.
Nonostante io abbia fatto il Dottorato in altra sede, non capisco in nessuno modo la volontà di imporre che non si possa essere assunti presso l'università nella quale ci si è laureati: conoscere meglio l'ambiente e la burocrazia, oltre a essere in linea con le ricerche della sede dovrebbero essere considerati punti di forza del candidato e non uno svantaggio. Non ritengo utile impedire a un ordinario che ritenga capace e meritevole un suo studente di offrirgli la possibilità di un posto da ricercatore (per il quale il "maesro" deve lottare molto e non ne sarebbe disposto se non per qualcuno che stima). Il problema è che spesso si privilegiano i rapporti di parentela o di altro tipo, problema che si potrebbe risolvere soltanto se i fondi fossero strettamente legati alla quantità e alla qualità dei prodotti delle singole persone (e non del dipartimento).
Porgo un ulteriore spunto di riflessione: perchè ho la sensazione che, di nuovo, qualunque valutazione dei risultati possa privilegiare la quantità a scapito della qualità?
Infine, se essere docenti o ricercatori significa dedicare ore a cavilli burocratici o a pratiche amministrative, completare 120 ore di didattica annuali sommate a tesi, prove finali, riunioni e organizzazione di congressi, il tutto senza poter contare sulla collaboraione di altri se non dei dottorandi di turno, come si può fare seriamente ricerca? Molti reclutano gratuitamente mogli e famigliari per una migliore gestione, ma non tutti se lo possono permettere, e sopratutto, vi pare che questo sia etico? Marina

Sulle Università A e B. Qualche commento

Visto che Procesi ha ripreso il mio punto sulle Università differenziate, provo a spendere qualche altra parola sull’argomento, che è poi la sfida iniziale con Settis
Io, seguendo Settis, le ho chiamate Università di Ricerca (UR) e Università di Preparazione Professionale (UPP). Rinominiamole pure A e B.
Il motivo di fondo per la distinzione è quello di utilizzare meglio le risorse statali limitate. 100 Università dove si concedono dottorati di ricerca sono troppe! Bisogna diminuirne il numero! Lo credo che non ci sono abbastanza fondi per i dottorati quando se ne danno a c.. e p…. Dove esistono equipes di ricerca con facilities tali da essere competitive sul piano internazionale, il dottorato di ricerca è una necessità, dove non esistono è uno spreco. Se le Università tipo A (UR) fossero ridotte a 20 o 30, le equipes di ricerca che le animano potrebbero contare su 2 o 3 dottorandi ciascuna. Guardate le pubblicazioni scientifiche a livello internazionale delle scienze sperimentali. Oggi vi sono sempre molti autori (a volte più di dieci) ma due sono quelli più importanti, cui va la maggior parte del credito (attenzione alle valutazioni oggettive per persone singole!): il primo è generalmente il dottorando che fa il lavoro come tesi di dottorato, l’ultimo è il capo dell’equipe che pianifica e propone la ricerca in un quadro più generale. La carriera di un ricercatore consiste proprio nell’arrivare dal primo all’ultimo posto della lista. In mezzo ci sono tutti i gradini intermedi (anche i vecchioni come me , a volte!). L’80 90 per cento della ricerca scientifica sperimentale vera, a livello internazionale, è portata avanti da dottorandi (pagati possibilmente bene, magari con le provvigioni necessarie per le malattie e la pensione), altro che hobby optional !!
Inoltre si potrebbe evitare di dare i dottorati nelle scienze non sperimentali (mantenendoli per la matematica naturalmente) ed in quelle professionali.
Per scegliere quali saranno le sedi giuste per le UR (A), questo fa parte del lavoro di valutazione, e ci ritroviamo alla solita questione. Certo non si potrà lasciare questo compito a Giavazzi o ai candidi saggi della Gelmini!!!
Ricordo ancora che nei miei punti originari (vedi mio blog) avevo anche cercato di abbozzare un meccanismo per implementare la differenziazione in A e B ed il modo per gli atenei di passare in maniera competitiva dall’una al’altra delle due forme.

Giovanni Giacometti

Serie A e B, seconda parte.

Vorrei dedurre una bozza di proposta su questo tema, seguirò con qualche variante una idea di Salvatore, Giacometti e Vannini ripresa da altri. Due premesse:
1) dalla discussione è chiaro che molte proposte hanno senso solo se messe insieme a formare sistema.
2) le Università di serie A e B esistono in vari paesi, ma con enormi differenze. Agli antipodi: il sistema USA con "university", "college", e "junior college" ulteriormente differenziati al loro interno, all'opposto il sistema francese con le Grandes écoles. Una traccia di tale sistema da noi è la SNS di Pisa.

Il sistema USA non è praticabile (le ricche: endowment di Harvard: $30 miliardi,Princeton: $14 miliardi; le più povere: Northeastern endowment di $100 milioni) e, secondo me, neppure del tutto auspicabile. Per il sistema francese servirebbero dei notevoli investimenti cosa asssai dubbia di questi tempi. Si potrebbe seguire una semplice via di razionalizzazione del nostro sistema, con costi probabilmente assai limitati e di facile implementazione, simile alla scelta che ha portato ai professori a tempo parziale. La formulo (ma è solo una bozza) come

PROPOSTA 1:

creare due tipi di contratto:
a) Didattico
b) Di ricerca.

a) Nel Didattico la ricerca non è richiesta, ma neppure vietata, il docente opera comunque in un ambiente stimolante dove la ricerca si fa. Lo stipendio è fissato ed il carico didattico è almeno confrontabile con quello di un normale professore in una Università americana (credo siano almeno 150 ore di didattica frontale, ovvero 2+2+1 corsi, ciascuno di 30 ore, su tre quarters per anno accademico). Si noti che un quarter degli USA da noi diventa (con le stesse ore) un semestre, in gran parte per l'inefficientissimo sistema di esami. Io conosco colleghi che un tale carico didattico lo fanno volontariamente per pura coscienza professionale e che, anche se non svolgono ricerca sonomolto apprezzati.

b) Nel secondo il carico didattico è quello attuale o anche minore, la ricerca viene valutata periodicamente e lo stipendio varia in modo sensibile in funzione della attività svolta. Questo dovrebbe eliminare quelli che si prendono sei mesi di vacanze invece che di ricerca. Si può passare da un contratto all'altro.


Resta il fatto che: alcune cariche amministrative, come direttore di Dipartimento o Coordinatore di corsi di Laurea o Dottorato dovrebbero comportare una sensibile riduzione del carico didattico.


Naturalmente il punto cruciale resta la valutazione, se questa viene fatta con il sistema cane non mangia cane o per dirla diversamente todos caballeros fallisce totalmente. Quindi in questo come in altri argomenti che vedremo è essenziale non costruire un sistema autoreferenziale, non è facile, l'Italia è piena di corporazioni che giudicano se stesse.

venerdì 5 dicembre 2008

Serie A e Serie B?

Ci si chiede spesso: volete i docenti di serie A e serie B? Stessa domanda per Università? La domanda è sbagliata perché i docenti di serie A e serie B già esistono, solo che siamo in un mondo alla rovescia e quelli di serie B hanno maggiori privilegi di quelli di serie A. Fino a che non si capisce questo fatto elementare non si capisce nulla dell'Università.
Questo credo di averlo spiegato bene in DISTORSIONI, ma repetita iuvant, a parità di stipendio e di carico didattico il docente che non fa ricerca può arrivare a 6 o più mesi di vacanze l'anno.


Indubbiamente l'Università è una realtà composita, il mio collega clinico forse guadagna molte volte quello che guadagno io, con attività private, ma poi ha un pesante impegno di lavoro con il suo reparto ospedaliero un lavoro spesso massacrante.

Lo sperimentale non può abbandonare il suo laboratorio neppure per un giorno pena la distruzione dell'esperimento. Ma il teorico può starsene a casa o in giro per il mondo, a fare ricerca ma anche solo a fare bisbocce. In ogni caso è pagato lo stesso. Quindi chi lavora di meno è in pratica pagato di più.

Per le Università vale un discorso analogo, ben pochi fondi sono dedicati ai Dottorati di Ricerca che quindi diventano un optional una specie di hobby per fissati della ricerca scientifica. Di nuovo nessun premio per chi lavora di più.

Parlo di serie A e B perché il calcio è l'unica attività a cui il 99% degli Italiani non rinuncerebbe, da quelli che cantano Heil Hitler ai comunisti Dash, quelli che più comunisti non si può provate ad unificare le due serie e finalmente vedrete la rivoluzione.

Reclutamento: concorsi sì - concorsi no.

leggendo blog e messaggi, sembra che coloro che dichiarano che è l'ora di abolire i concorsi e di affidare ai dipartimenti il reclutamento per cooptazione, siano in maggioranza. Una certa quota nutre però delle riserve: non siamo ancora pronti, è una cosa da fare in futuro. Altri pensano che il meccanismo concorsuale possa essere migliorato. Certo che il reclutamento per cooptazione va legato alla valutazione periodica del reclutato, le due cose sono indissolubili. Messa la cosa così, forse in maniera un po' troppo semplicistica, ci possiamo provare a chiedere: siamo favorevoli alla abolizione dei concorsi? Siamo favorevoli ma solo tra qualche anno? Siamo contrari?

valore legale del titolo di studio ?

Credo che sia necessario un chiarimento relativamente all'abolizione del valore legale del titolo di studio. Solo da qui parte la possibilità di esercitare la vera autonomia che non abbiamo mai avuto. Quando ogni università, libera da costrizioni legali, potrà congegnare un percorso autonomo per laureare i propri studenti nei vari corsi di laurea (certo, concentrati, semplificati, ecc.) anche i criteri di reclutamento potranno essere rivoluzionati ed al limite, ogni università potrà adottare quelli preferiti, persino ogni dipartimento. L'unico criterio sarà quello di un impietoso esame finale sulla produttività in termini di idee, brevetti, pubblicazioni, ed efficienza didattica. Un esame per ogni singolo dipartimento e complessivamente per ogni singolo ateneo (e quindi valutazione delle unità operative coinvolte, ateneo, corso di laurea, dipartimento, docenti reclutati). Alla fine trasferimento di fondi in modo proporzionale alla valutazione, con scarti non simbolici tra il minimo e massimo (40 - 50%) (rinforzo positivo, direbbe uno psicologo d'altri tempi, premio di produzione, preferisco).

Valore legale, reclutamento, valutazione e premio finale di produzione, sono quattro punti intimamente legati ma non in modo circolare. Senza risolvere il primo gli altri possono vagamente essere modificati ma non veramente rivoluzionati.

Vogliamo davvero affidare i concorsi alla pura sorte ? E' una resa totale, equivale a dire che non siamo in grado di decidere. tanto vale andare a casa. Poichè siamo tutti molto intelligenti (altrimenti non ci avrebbero fatto professori) penso che non esista tecnica concorsuale che con la nostra intelligenza (ed il nostro addestramento) non si sia in grado di manipolare e piegare alle nostre esigenze. L'unica é abolire i concorsi, non se n'esce. Piaccia a non piaccia a Mussi o alla Gelmini.

giovedì 4 dicembre 2008

DISTORSIONI

Molti dei problemi delle Università Italiane provengono da una distorsione di nobili parole o propositi: Libertà, Autonomia, Democrazia, Unità fra didattica e ricerca. In un mondo ideale queste parole disegnano l'Università ideale ma, in quello reale: Libertà si trasforma in anarchia ed arbitrio, Autonomia in irresponsabilità e cientelismo, Democrazia in demagogia ed intrigo ed infine Unità fra didattica e ricerca in una barzelletta. Già non viene valutata la didattica, ma un minimo (forse) di obbligo in questa direzione generalmente viene svolto, per quello invece che riguarda la ricerca sappiamo che moltissimi docenti o non l'hanno mai fatta o hanno da tempo smesso di farla. Però godono di privilegi sconosciuti in qualunque altra parte del mondo, come insegnare per un unico semestre che nella definizione italica dura tre mesi. Esistono situazioni estremamente corrotte ma questo è un argomento che tutti vogliono evitare. La ragione è che si tratta comunque di un privilegio, anche per chi fa ricerca. Di fatto, per un giovane ricercatore brillante, questo compensa lo stipendio miserrimo che percepisce e diventa un forte incentivo a fare la ricerca restando in Italia, un enorme side-benefit. Che questo sia un sistema sensato è un'altro problema.

I miei due cent (anche un cent solo)

Secondo me i criteri formali non hanno alcun senso, tranne forse i requisiti minimi. Il problema di fondo è che, com'è noto, "la sintassi non veicola la semantica".

I criteri minimi possono (forse, e non del tutto) garantirci contro i casi indecorosi: è già qualcosa, ma -- a parte che anche le proposte di criteri minimi che ho visto finora sono tutt'altro che perfette -- non basta a garantire invece un buon funzionamento del sistema. Sarebbe come dire che tutto ciò che serve per essere un buon cittadino sia non essere un delinquente, e che quindi l'unica struttura veramente necessaria a una nazione sia il sistema della giustizia penale. La giustizia penale va benissimo, ma non ci si può limitare ad essa.

Nè, per far funzionare bene un sistema universitario, mi sembra una buona idea ricorrere ai vari "factor" dei quali tanto si parla. Lasciando stare che un collega di Dipartimento suggeriva recentemetne di tener conto anche del "fattore C", rimane che affidarsi all'IF e simili non ha molto senso, per molte ragioni che spero siano ovvie (e che posso spiegare se non lo sono).

Né il semplice ricorso a "esperti stranieri" sarebbe una buona idea; ad esempio perché l'esperto straniero, pagato con le cifre, i modi e i tempi dello Stato italiano, non si sognerebbe neppure di muoversi da casa; poi perché la cosa diventerebbe semplicemente un guicciardiniano inseguire, da parte di ciascuna cordata, il proprio "esperto straniero" di riferimento. E per altre ragioni che di nuovo credo siano ovvie

Il punto vero è di passare a un sistema basato sulla semantica. Come nella proposta iniziale di Claudio: assumi chi ti pare e pagane le conseguenze. Aggiungerei forse, come in altre nazioni, l'ipotesi di una idoneità nazionale. Da lì in poi, tutto ciò che conta è la valutazione a posteriori, non diversamente da come fa qualunque organizzazione.

La Fiat, dico per dire (e non lo dico perché lavoro a Torino :) assume chi vuole e ne paga la conseguenze. Se la moglie di Marchionne vale, la può benissimo assumere (e d'altra parte è ben possibile che la moglie di Marchionne sia in Fiat non perché Marchionne ce l'ha portata ma perché un Marchionne scapolo, lavorando in Fiat, ha conosciuto una collega e se l'è sposata; o che vogliamo fare, vietare i matrimoni tra colleghi?). E non è affatto ovvio che un dipendente di categoria X non possa passare alla categoria X+1 dentro la Fiat e debba per forza andarsene a lavorare alla Renault per aspirare alla carriera.

(Disclaimer: non conosco Marchionne e non so cosa penserebbe di questo post; non sono sposato né con una collega né con altri; e ho girato tre università del Nord Italia prima di stabilizzarmi nella quarta.)

UC

cari amici, come ben sapete la ricerca è fatta anche di studio, cosi pure la politica. Parliamo spesso di Università americane, molti di noi sono stati visiting professors ma non so quanti le abbiano viste dall'interno o svolto politica accademica.

Io propongo, invece di analizzare il sistema Americano in toto, di studiarci un sottosistema pubblico che è la Università della California. La California è approssimativamente paragonabile con l'Italia.

Troverete un luogo www.ucop.edu con moltissime informazioni. In sintesi

Today, the UC system includes more than 220,000 students and more than 170,000 faculty and staff, with more than 1.5 million alumni living and working around the world.
Il bilancio se ho ben capito, ma dovrei studiarlo meglio, è di 5 Miliardi di dollari circa di cui 3 di fondi statali.
Puo` essere un inizio di confronto. Questa realtà potrebbe essere anche confrontabile con l'Università di Roma. Si scoprirebero probabilmente molte cose interessanti da un tale confronto.

Molto stimolante!!! Cliccate per vedere

Vi invito a meditare su una lettera di Rizzolatti, che a mio avviso coglie un punto centrale, uno dei tanti in cui ci comportiamo da corporazione poco virtuosa. Condivido interamente la sua analisi e credo che se non prendiamo posizione su questo ed anche alcuni dei punti sollevati da Pedrini (vedi in basso) tanto vale che smettiamo. Tutti sono buoni a dire dateci di più. Ho messo un sondaggio!!



But there’s also the Upton Sinclair theorem:

It is difficult to get a man to understand something, when his salary depends upon his not understanding it.

mercoledì 3 dicembre 2008

Ricercatori

Il ruolo dei ricercatori è stato un compromesso nefasto. Meglio tre fasce di docenza. Oppure due fasce ed una di post-dottorato con un eventuale sistema di tenure track. In Italia uno dei problemi maggiori consiste nel gestire le posizioni temporanee in modo corretto. Purtroppo la logica prevalente è: posizioni mal pagate, sfruttamento e far balenare la speranza del posto fisso. Questa è la genesi della categoria, intraducibile in quasi tutte le lingue, dei precari. Spezzare questa logica è prima di tutto un fatto culturale, poi anche legislativo.

Ceterum censeo Cartago delenda est



Le facoltà vanno abolite, andavano abolite dal 1980 e l'istituzione dei Dipartimenti. Ma quella che va ripensata è la stessa idea di democrazia universitaria.

La democrazia universitaria è stata una trappola ben congegnata, creata da noi stessi e senza accorgercene, in cui è caduta la mia generazione. Infatti chi può essere contro la democrazia?
La democrazia universitaria è stato un metodo scientifico, di cui si sono impadroniti rapidamente baroni veri e demagoghi, con cui si è separata e selezionata la classe dei politici accademici di professione, la cui massima espressione sono i Rettori a vita.


Un giovane docente inizia a partecipare ad un consiglio di facoltà per dovere istituzionale, curiosità e pensando di poter dare un contributo. In breve si accorge che il 90% delle cose discusse non hanno il minimo interesse generale mentre il 10% rimanente è stato deliberato in commissioni apposite ed è quasi impossibile modificarlo in aula.
A questo punto scatta la selezione, se il suo interesse è sopra tutto la ricerca e l'insegnamento assisterà con sempre minore interesse alle sedute, inizierà a mandare giustificazioni fino (come nel mio caso) a non metterci più piede. L'alternativa è di entrare nelle commissioni, correndo il rischio di ritrovarsi in breve risucchiato nel meccanismo perverso della politica accademica. Naturalmente ci sono alcuni stoici idealisti che cercano di cambiare il sistema dall'interno, qualche volta hanno dei piccoli risultati qualcuno riesce anche a diventare Rettore. Lo schema si ripete in modo analogo per gli altri consigli: di dipartimento e di corsi di laurea con una importante variante. Poiché il potere accademico in un dipartimento (almeno nel mio) è minimo, rapidamente il consiglio si svuota, rischia continuamente di non avere il numero legale ed infine la ricerca di un Direttore di Dipartimento si trasforma nel gioco dell' "omo nero". Rompere questa spirale richiede una grande dote di buona volontà.
È quindi necessario, oltre all'abolizione delle facoltà, ripensare alla intera struttura separando quei pochi momenti in cui una assemblea di tipo democratico si esprime su questioni importanti di interesse comune e la gestione ordinaria delle istituzioni.

claudio procesi

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Abbiamo verificato che con il blog non si sblocca la discussione e quindi,

martedì 2 dicembre 2008

lettera di Marinucci


Vi segnalo una lettera inviata ad alcuni giornali da Domenico Marinucci Direttore del Dipartimento di Matematica dell’Università di Roma Tor Vergata:
Lettera

Da Claudio Pedrini

Poiché condivido la tua affermazione "perché le discussioni devono ad un certo punto convergere in qualche cosa di concreto."

provo a indicare un modo per focalizzare le questioni, a mio avviso piu urgenti da affrontare in questa fase. La discussione avviatasi con la tua utile iniziativa è senz'altro interessante, ma rischia obiettivamente di risultare assai dispersiva e quindi di non sortire alcun effetto concreto. Del resto tutto l'interesse e la mobilitazione del mondo universitario, finora piuttosto amorfo, pur in una situazione di crescente degrado dell'Università, è nata a seguito delle misure del governo di taglio dei fondi.
è dunque da li che occorre partire per individuare le questioni principali. D'altra parte anche la possibilità , che ricorre in tutti i commenti, di distinguere tra università "virtuose" e "cattive " si scontra con una realtà drammatica e cioè l'incidenza abnorme (e sempre crescente) delle spese per stipendi di personale di ruolo ( e quindi non comprimibili) sui bilanci degli Atenei. In passato, piu precisamente durante il precedente governo Berlusconi, i ministri Moratti e Tremonti avevano proposto alla CRUI un meccanismo che avrebbe permesso di scorporare dal FFOO la spesa per il personale di ruolo, riportandola ( come avviene per la scuola) ad una partita fissa del Tesoro, e quindi non dipendente ogni anno dagli stanziamenti della finanziaria, che in tale modo avrebbero riguardato solo i veri "budget" e quindi avrebbero davvero permesso una verifica sulla reale efficienza dei singoli Atenei. Tale ragionevole proposta fu sdegnosamente rifiutata dai rettori...in nome dell'autonomia!
Credo che tale soluzione vada ripresa. A questo punto sarebbe piu facile modificare realmente il decreto sui tagli, che ovviamente non può riguardare la spesa immodificabile per il personale già di ruolo, e quindi ripristinare un meccanismo coerente di incremento degli organici,in particolare dei ricercatori, che invece nella situazione finanziaria determinata dagli attuali tagli, appare assai problematico. Credo infatti i che prima di discutere l'argomento, certo interessante e appassionante dei meccanismi di reclutamento, sia importante sapere su quali basi realistiche si può ipotizzare un aumento di organico!
Altra questione prioritaria ( e connessa con quella delle risorse) è quella della valutazione. Ma anche in questo caso con realismo: se non si è in grado di valutare le singole persone diventa arduo valutare le strutture! Occorre perciò riprendere, aggiornandola, la valutazione del CIVR e imporre agli Atenei di utilizzarla effettivamente per stabilire incentivi e disincentivi economici per i docenti.
Terza ed ultima questione la "governance". Nulla di quanto viene proposto in termini di una migliore gestione delle risorse finanziare dei singoli Atenei può trovare realizzazione se i CdA sono (unico caso al mondo) formati da rappresentanze corporative (cioè elette per categorie) dei dipendenti!
La soluzione non può essere che quella adottata in tutte le Università europee: la gestione finanziaria (che è evidentemente altra cosa dall'autonomia didattica e scientifica) deve essere controllata e valutata da chi effettivamente eroga i finanziamenti,siano essi pubblici o privati.

Saluti e buon lavoro per il 13!

Claudio Pedrini